mercoledì 10 aprile 2013

Find the difference.



...l’amore è per definizione un dono non meritato; anzi, l’essere amati senza merito è la prova del vero amore [...] Quanto è più bello sentirsi dire: sono pazza di te sebbene tu non sia né intelligente né onesto, sebbene tu sia bugiardo, egoista e mascalzone.



Lei gli domandò in quei giorni se era vero, come dicevano le canzoni, che l’amore poteva tutto.
- E’ vero - le rispose lui - Ma farai bene a non crederci.
Le disse che l’amore era un sentimento contro natura, che dannava due sconosciuti a una dipendenza meschina e insalubre, tanto più effimera quanto più intensa.

***


Avevo avuto modo di riflettere a come accadono le cose, a come sottili equilibri vengono meno quando messi a nudo difronte all'insostenibile pesantezza del sentimento. Mi chiedevo se fosse giusto credere che l'odio potesse essere frutto dell'amore (Nota: amore, amore, amore. E' una parola che più la ripeti e più perde significato) -se fossi ancora in grado di riuscire a provare qualcosa di lontanamente simile ad uno dei due, ritrovandomi con un po' d'ansia addosso, a constatare che la Morte era riuscita inesorabilmente a togliermi la capacità di farlo.
C'era Joe, affondato e inerme sul letto di un'infermeria all'interno della Base Alleata di Greenfield, catturato dopo l'ennesimo e disperato tentativo suicida di porre fine alla mia esistenza. Ironico.
Mi ritrovavo a pensare di non poter biasimare quell'uomo, di riuscire a vederlo solo specchio di me qualche mese addietro, quando anch'io misi a repentaglio ogni briciola di me. Sola, con la mia brama.
Neville, che avevo tanto amato, ora così insignificante... così poco importante. Contro ogni aspettativa, non sono migliore. Semplicemente identica. Semplicemente, follemente, destinata allo stesso destino che era toccato a Joe e ad altri, insieme a lui.
Dovevo avere solo nemici da odiare, e non nemici da disprezzare: dovevo essere orgogliosa del mio nemico... e lo ero, in qualche strano modo.
Attraversare "quella soglia", quella linea di demarcazione, al di là di ciò che sembrava impossibile. Superare il limite. Andare oltre. Sforare, sicura che non sarei più potuta tornare indietro, qualsiasi cosa fosse successo in quella stanza d'ospedale. Qualsiasi sguardo mi avesse riservato Joe Black, lo avrei accettato. Non avrebbe fatto alcuna differenza, per me.
Il suo odio o il suo amore, erano lo stesso. Li avrei sopportati. Accettati, entrambi. Ma non avrei mai accettato la sua indifferenza. La stessa indifferenza che ero riuscita a riservargli nel tempo, schivando i colpi, lasciando scivolare addosso l'odio che mi aveva scagliato contro come gocce di pioggia in mare, accogliendolo come fosse sabbia ad ogni onda. Immobile. Come una stella fissa che la si può solo guardare da lontano, a miliardi di anni luce di distanza. Sempre troppo avanti.
Ora, in quella stanza, lui era me ed io ero lui. Non c'era il mio nemico a giacere sul fondo di un letto con la carne maciullata e qualche osso fuori posto: c'ero io, che mi guardavo, che sorridevo di me, delle mie idiozie, delle mie lotte passeggere. C'ero io che muovevo le labbra, che respiravo, che digrignavo forte i denti. Che soffrivo in silenzio. E lui era lì, in piedi, le braccia incrociate, preoccupandosi solo di chiedere se fosse possibile fumare, con aria saccente e menefreghista. Lui era lì, difronte a me, con la mia cravatta al collo, la mia giacca firmata, la droga in corpo e il cuore sempre troppo stretto. E la mia pistola nella fondina.
Mi ritrovavo a pensare alle possibilità. A come Joe avrebbe utilizzato quella pistola, se su quel letto fossi stata costretta io, al posto suo. A fare i conti con la certezza che l'avrebbe estratta e me l'avrebbe puntata contro -BANG-BUIO-FINE DEI GIOCHI-ADDIO.
Mi ritrovavo a pensare che, forse non avrei fatto diversamente, se quella pistola fosse rimasta ad attendere nella mia fondina. Era solo una questione di equilibri. Di prospettiva.


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