sabato 30 giugno 2012

Keep away from red heads.






"L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue."





Me lo diceva sempre mio padre. Un vecchio detto della Terra-che-fu. Credo lo scrisse un poeta. Non vi ho mai dato granchè credito ma adesso questa frase mi pulsa nel cervello come fosse il lento e costante scandire di un orologio.
Attaccare o fuggire fanno parte dello scontro. Quello che non appartiene alla lotta è restare paralizzati dalla paura.

Picchiare Neville è stato liberatorio. Ne porto ancora i segni addosso, con un sorriso. 
Penso che non le prendessi tanto da almeno una decina d'anni, togliendo Mughain, che non mi da filo da torcere a tal punto.
Svuotarsi i polmoni, urlare, farsi male. Qualcosa si è incrinato -e non solo una mia costola-.
Si è meritato il mio rispetto e, in fondo, io penso di essermi meritata il suo visto come l'ho conciato.


Sei più in gamba di tanti uomini, Williams.


Ammetto d'essermi riempita d'orgoglio quando l'ha detto. Sembrava quasi che a parlare fosse stato mio padre, il giorno che mi insegnò ad impugnare una pistola.
Sarà pure una mia impressione, ma credo che nessuno dei due fosse realmente incazzato con l'altro, è che a volte si ha solo bisogno di prendersela con qualcuno, quando si è stanchi di prendersela con se stessi.

Lo stress accumulato in questi giorni è aumentato esponenzialmente al mio ritorno su Hall Point.
Mughain è tornata finalmente. Come io sono tornata alle mie pressanti responsabilità.
Avevo un bisogno irrequieto di parlarle. 
Per dirle cosa, poi? Che la mia vita è più incasinata di quanto non lo fosse un mese fa?
La peggiore delle idee... la mia moquette è irrecuperabile.
Mughain sa ascoltare, ma trae sempre conclusioni che non ti aspetteresti mai nemmeno di aver lontanamente pensato. Mi ha chiesto se avessi sentito differenza tra le cure che mi offriva Zoya e quelle di qualcun'altro, e mentre ne parlava tutto si faceva chiaro. Un arazzo colorato in nette sfumature nere e bianche prendeva forma sotto i miei occhi increduli. 
Le ho parlato di Zoya, di quello che pensavo fosse necessario fare, di quello che credo che fosse la cosa più giusta per salvare il cuore di entrambe. Lei ha capito.
Non so come abbia fatto a leggermi nella mente. Un attimo dopo un messagio cortex mi comunicava la sua repentina decisione. Ho sentito una fitta al petto, altezza cuore, poi lentamente tutto è tornato regolare, come se il peso di un macigno mi fosse appena stato tolto dalla pancia, e fossi tornata a respirare.
Un altro taglio verticale solca la mia spalla destra. Un' altra cicatrice che porta inciso sopra il nome del mio ennesimo errore. 
Mi sono chiesta quanto costi il prezzo della nostra libertà e se siamo davvero uomini liberi, anche quando non costretti in catene. Se la vita stessa non fosse un'enorme gabbia in cui ogni cosa prima o poi inizia ad andare stretta come un maglione mal lavato. Non so come, ma il bisogno di divorare aria attorno a me, d'essere libera, cresce col passar del tempo. 
Costringermi ad amare come se potessi controllarne la natura è stato il più grosso degli errori.

Mi sono chiesta quanto sia opportuno o meno realizzare i propri sogni, accorgendomi di quanto solo l'idea mi terrorizzasse. Che la sottile linea che separa dalla felicità, ad una nuova tristezza, sta li: nel palmo teso di una mano sul punto di afferrare un pomo sanguigno, di certo succoso, e che svanisce, quando le rotondità di quella mela ne sfiorano la pelle. 
Voglio riuscire a congelare quell'attimo di sospensione e renderlo eterno, anche se so che mi costerebbe rimanere a mani vuote.

Mi sono chiesta come funziona la dinamica di certe cose. Come si finisce a fare i conti con l'incontrollabile, la follia, l'imprevedibile e la certezza di sbagliare insieme. Mi sono chiesta se davvero non ho solo tanta voglia di farmi del male. Di fuggire, solo per il gusto di andare da qualche parte. Mi sono stupita di quanto fosse diverso sentirsi desiderati da un uomo, piuttosto che da una donna e mi sono ritrovata a pensare che la prima cosa, forse, mi piace pure di più.
Sarà che il bourbon di ieri era fin troppo buono per non salire dritto alla testa, annebbiando del tutto le mie percezioni mentali. Sarà che in fondo sono un po' masochista dentro. O che stare con lui a bere e fumare sigari fino all'alba mi ha dato un sollievo che non saprei descrivere.
Sarà che sento d'essere protetta, e insieme ne ho paura. Un po' come con Mughain.

Se mi guardassi allo specchio adesso di certo non mi riconscerei, e non saprei nemmeno dire con certezza se penso d'esser meglio in questo preciso istante, con il viso di Vergil a pendere come una falce sopra il mio, o se rimpiango ciò che ero prima. Il fatto è che adesso, forse, mi diverto di più.
Sorrido troppo spesso.
La fronte sporca e la faccia che è un casino, e mi sono chiesta cosa ci abbia trovato lui di tanto desiderabile in me. Per un attimo ho avuto voglia di scavare una fossa nel sedire dell'auto di Ritter e sparire in fretta al centro del pianeta, ma... poi le sue labbra sulle mie ed il castello di problemi che mi ero creata attorno è crollato in un battito di ciglia. 
Mi sento stupida. Mi sembra di aver totalmente perso di credibilità. Mi sento d'essermi svuotata fin troppo, alleggerita fino al punto da non sentire più il mio stesso peso. Mi sento di averla tradita, come non avrei mai pensato di poter fare.
  
-Tu cosa desideri, Williams? E non intendo saltarmi addosso, eh. 
-Voglio qualcuno che sappia farsi desiderare sempre. Voglio qualcosa per cui valga la pena lottare, Neville.
Eppure sono fuggita, dall'ennesima cosa bella. 
Chissà se prima o poi quell'ombra ostinata si deciderà a smetterla di seguirmi.


giovedì 28 giugno 2012

I say goodbye to myself.

Ancora su Horyzon.
Mi chiedo quando e se riuscirò a tornare allo Skyplex di Hall Point e abbandonare questo schifo di città ai suoi riccastri pomposi, ai suoi ristorantini di lusso, ai suoi curiosi animali, ai suoi circhi da quattro soldi, alle sue puttane strapagate.
C'è di buono che tutto si è concluso. Abbiamo i farmaci e nessuno si è fatto male, per quanto l'incolumità del resto del mondo, oltre all'equipaggio, non stesse all'apice del mio interesse.
Ho visto l'esitazione nelle mani di Neville, ad un passo dall'eliminare un prezioso ostaggio fin troppo stupido per capire la gravità della situazione. Non mi sento in colpa nel pensare che io non avrei avuto nemmeno un briciolo di quell'esitazione.

Le cicatrici ai polsi sono aumentate esponenzialmente da un po' di tempo a questa parte e qualcuno non tarda a farmelo notare. Sento la pelle tendersi e farsi sempre più sottile sui tendini spessi delle braccia.
Non ho voglia di prendermi cura di me, adesso. Lascerò che ogni ferita faccia il proprio corso.

Perdo il controllo, lo perdo troppo spesso. Ormai la voce dei miei pensieri è tanto forte da non poter più riuscire a trattenerla dentro la gola. Mi guardo allo specchio e mi trovo incredula e irriconoscibile difronte a quel che sono.

"Se ti guardi allo specchio e non ti riconosci, vuol dire che quello di prima non eri tu."

E allora dove sono finiti gli ultimi ventitre anni della mia vita?
Neville è sempre riuscito a trovare risposte semplici a quesiti che non lo sono mai stati. Parlare con lui è come sentirsi dire sempre ciò che si vuole sentirsi dire, o peggio, ciò che non si vuole ammettere a se stessi. Mi scopro sensibile a quel fascino paterno, forse proprio perchè Neville di mio padre ha molte cose. L'odore di sigaro, forse. La saggezza e l'immaturità insieme. Quel senso di infinita protezione che non scema nemmeno al cospetto del chiarore dei primi raggi di Sole all'Alba.
Credo di averlo amato per un istante, per una piccola frazione di secondo il mio cuore ha ceduto, forse per ciò che mi ha riportato a memoria o per far credere a me stessa di essere meno sola.
Gli ho dato un cazzotto e sono fuggita.
Spero gli sia rimasto il segno.

Scavo nell'abisso del ricordo cercando di trovarci dentro qualcosa che mi riconduca alla nuova me. Il filo conduttore, solo per comprendere se è davvero questa la vita che volevo e che cercavo, o se mi sono solo smarrita per la strada, annebbiata da paure e false speranze, da una bella voce. O forse dovrei lasciare fare alla Vita il proprio corso, proprio come con queste ferite.

Zoya è una bambina troppo cresciuta, una donna in piena regola. Sorrido, quando la vedo farsi livida di gelosia se le mie attenzioni cessano d'essere tutte solo per lei.
Non so cosa mi convinca ancora a starle accanto, non so proprio cosa mi convinca a darle ancora quello che cerca, anche se solo in parte.
Non so se sia questo l'amore.
Amare è un impresa.
Per amare bisogna essere pazzi, energici, generosi e ciechi. Ed io forse non sono nessuna di queste tante cose.
Chissà se un giorno avrò il coraggio di dirle che non so se l'amo, o se ciò che mi spinge a continuare a stare con lei è solo il bisogno sopito d'essere amata.
Chissà se mai sono riuscita ad essere, almeno una volta nella vita, sincera con me stessa.
So solo che l'avrei uccisa, per lei. Davanti a tutta quella folla, col rischio d'essere presa, incastrata, e di mandare a puttane tutti i piani di Neville, compreso il rapimento e la bomba alle Terrazze; giuro su Dio -semmai ve ne fosse uno- che io l'avrei uccisa.
Ma quella donna non mi serve a niente morta, non più di quanto mi serva da viva.
Non ci sarà una seconda occasione e a dire la verità non so nemmeno se l'odio che provo sia reale, o solo l'ennesima proiezione delle mie mancanze.

"Ho capito ciò che cerchi! Cerchi protezione, stabilità, ma non puoi averla... e non sai chi odiare."

In una cosa si è sbagliato, però: io so perfettamente chi odiare.
Il problema è che odio me stessa.


martedì 26 giugno 2012

Polvere alla polvere.

Ci sono volte in cui vorrei solo essere più forte. Esserlo davvero, senza paura che qualcosa possa crepare la maschera che porto.
Ci sono volte in cui vorrei essere crudele. Ho bisogno d'essere crudele, per fare o dire quello che non ho il coraggio di fare o dire, a modo mio.
Ci sono volte in cui mi chiedo che rumore fa un Impero che cade. Quanto pesa un grattacielo immenso di sogni infranti sopra la mia schiena.
Ci sono volte in cui vorrei solo avere più coraggio. Agguantare la mia pistola ed uscire fuori ad affrontare i miei fantasmi eterni.
Ci sono volte in cui penso di essere riuscita a farlo. Di essere riuscita a costruire qualcosa, se non avessi tanta paura e non tornassi sempre indietro a radere nuovamente ogni cosa al suolo.

Polvere alla polvere.

Che rumore fa un Impero che cade?

Non fa rumore.E' il rumore di un bacio dato a vuoto. Il rumore del vento, quello assordante del silenzio. Quello di un sospiro strappato alle labbra di un amante, o del sollievo di un condannato. L'ultimo alito di vita, il pianto disperato di un bambino appena nato.Quello di gioia di un vincitore.

Che forma ha un Impero che cade?

E' la curva tonda dei suoi seni. L'incavo appena accennato tra le sue clavicole  E' rotondo come l'aureola dei suoi capezzoli, come l'affondo regolare del suo ombelico. L'arco teso delle sopracciglia. Il piccolo cuore delle labbra appena schiuse. Quella fossetta tra le cosce.

Se questo è un Impero che cade, voglio crearlo e distruggerlo ancora, mille volte, finchè non ci sarà più nulla da perdere, nè da guadagnare.

Polvere alla polvere.





giovedì 7 giugno 2012

The End.

Mio padre è via ormai da più di una settimana, e soffro la sua mancanza come un cane sentirebbe la mancanza del proprio padrone. Ho quattordici anni, età che permetterebbe ad un qualunque ragazzo del Core di frequentare ancora la scuola ed approfondire gli studi, e invece io passo le mie giornate a rubacchiare in giro, a farmi inseguire, a farmi picchiare, e tornare a casa con un paio di patate per la cena. E così il giorno dopo, e quello dopo ancora. 

E' un venerdì mattina, un 22 Dicembre freddo e secco come gli altri. Gli addobbi natalizi si susseguono ovunque in ogni casa di Boros, screpitando energici ed arroganti coi loro colori accecanti in ogni giardino. Ho sempre odiato il Natale, fin da bambina. Il primo regalo che ricevetti fu un piccolo coltellino svizzero, con tanto di cavatappi, dall'impugnatura in legno scuro, e ricordo che invidiai le altre bambine e le loro bambole per un istante, ma quello dopo ero già li pronta a sorridere, a fingere d'essere felice ancora una volta. Per lui.
Spingo la lettera all'interno della buca vuota e imperlata di acqua ghiacciata, rimasugli di pioggia abbandonati come ricordo, come segnale di un Inverno che si prospetta essere più freddo e lungo del consueto. Gli ho scritto una missiva e spero con tutto il cuore che arrivi a destinazione, ma sono giorni, settimane, e nessuna risposta torna indietro. 
Non ho versato una lacrima, con il timore che se lui fosse tornato indietro e avesse aperto la porta da un momento all'altro e mi avesse trovata a frignare come una bambina, me le avrebbe date di santa ragione. Ma io sono una bambina. Lui e la sua fissa per la debolezza.
Ancora una volta percorro la strada ciottolata che attraversa il vecchio campo di grano dei Carlson fino al centro città, la mia prossima tappa è il macellaio, al quale cercherò di rubare qualche scarto sfoggiando un paio di occhi dolci da cerbiatta: quelli mi sono sempre venuti su bene. Faccio la strada insieme a Stevens, che non mi molla un secondo. Dio, lo avrei riempito di botte per quel suo continuo ciarlare, chiacchierare di aria fritta e sogni idioti da ragazzo. Tutte stronzate. Da lontano riesco ad intravederla, è una Jeep di quelle nuove, di quelle che hanno solo i ricchi, dalle mie parti, e ci corre dritta incontro. Fessurizzo gli occhi e mi fermo a guardarla, ed un attimo dopo averci superato mi accorgo che quella che sta percorrendo è proprio la strada per casa mia. Corro. Ricordo di non aver corso così tanto prima d'ora. 
Alla porta c'è un uomo in browncoat, con un cappello da cowboy ed una barba incolta a rossiccia che non avevo mai visto. Incrocio le braccia e mi faccio fiera nella mia minuta statura, nonostante il fiatone.
Ha notizie di mio padre, mi dice. E lo vedo quello sguardo: lo sguardo di quello che sta per darti l'ennesima delusione e che, pur non conoscendoti affatto, prova una sorta di empatico affetto e comprensione. Lo sguardo di chi vorrebbe fare o dire qualcosa per addolcire una pillola fin troppo amara da inghiottire. Lo sguardo di chi non può capire mai del tutto a fondo, ma tenta di sforzarsi nel farlo. 
Mi mette una mano sulla spalla.
Due parole. Due, fottutissime, parole.
E' morto.
Annuisco, dopo qualche istante. Sorrido perfino, a mezza bocca, un sorriso rassicurante e troppo adulto per una ragazzina della mia età, il sorriso di chi, in fondo, se lo sarebbe aspettato e se n'è già fatto un'idea, ma non è così. L'uomo con la barba rossa sembra provare una sorta di segreto sollievo e compiacimento. Era proprio quello che volevo.
Mi ha proposto di riconoscere il corpo, ma mi sono rifiutata categoricamente di farlo, inviando Stevens al posto mio, a fare il lavoro sporco. 

Non ho versato una lacrima, eppure, ero certa che lui non avrebbe aperto la porta da un momento all'altro urlandomi addosso che sarei dovuta crescere e diventare forte. Non questa volta.


Mi ha detto che mi ama.
Lo ha fatto e io l'ho picchiata. L'avrei ammazzata. Le ho puntato una pistola contro, furibonda. Le avrei strappato la lingua a mani nude, lo avrei fatto, pur di farla tacere.
L'unica cosa che le avevo chiesto era di non farlo, di non innamorarsi di me, di non rendere le cose più complicate di quanto già non lo fossero.
Piangeva e mi si è offerta. Si è offerta alla canna della mia pistola come una martire. Pazza, o forse solo stupida. E non è forse così che ci rende l'amore? Stupidi e pazzi come dei vecchi rincoglioniti, o come dei bambini troppo cresciuti che non sanno quando il gioco è finito.
Incredibile quanto riesca ad essere tenace e violenta. Incredibile come riesca sempre e comunque a scuotermi dalla mia fermezza. E' una valanga e un fiume in piena inarrestabile quando si prova a richiuderla negli argini della pura logica. E' un elefante che mi si getta tra le braccia incurante che possa reggerne o meno il peso, incurante di crollare a terra e farsi male perchè non ha più sostegno sotto i piedi.
L'ho allonata. L'ho fatto in tutti i modi possibili. In tutti i modi più dolorosi. In tutti i modi in cui una persona normale, un'altra persona qualunque, mi avrebbe cancellata per sempre. Le ho detto che non l'avrei mai ricambiata, ho cercato di farle capire che non l'amo, che non posso amarla per il suo bene e per il mio, ma era sempre li.
Mi ricorda tanto un cane. Puoi picchiarlo, maltrattarlo, abbandonarlo sul ciglio della strada, ma quello troverà sempre la via per il ritorno. Ti troverà, ti scoverà, riconoscerà il tuo odore tra mille altri, ti verrà incontro scodinzolante e pieno di gioia, pronto a perdonarti in cambio di poche carezze ed un tozzo di pane andato a male.
L'ho ferita e mi sono ferita, ma questo mi è servito di lezione. Ho capito che non sono ancora abbastanza vicina a ciò che voglio essere, che la sola idea di poterla perdere era più grande del desiderio stesso di starle accanto. Non voglio. Non la voglio. Non voglio tornare a fissare quella porta e a sperare che qualcuno torni indietro a riprendermi. Non ci sono più fessure, nessuna porta, non uno spiraglio di luce all'interno di questo guscio, ed è questo l'unico modo che ho per non farmi del male.
Per non farle del male.

venerdì 1 giugno 2012

Irrimediabili fessure.


Il vento di Maggio bacia le mie labbra nude. Sono fresche, umide. Portano addosso il sapore della pioggia inattesa, della solitudine dell'autunno, del mio ricordo. Il sangue si mischia alle gocce, piccoli tagli verticali, segni della primavera ancorata ai miei sorrisi più larghi.
Il cotone scuro incollato al petto, modella forme allenate, macchiate dalla scarna carne che mi porto dietro sin da quando ero troppo giovane per accorgermi di me.
Ai piedi stivali beige, con dei lacci quasi maggiorenni ed un paio di buchi sulla punta.
Jeans scoloriti ed un vecchia cinta che non li regge del tutto.
Al polso l'orologio che mi ha regalato il mio vecchio, in un natale che sfoco, e per completare la chincaglieria, tre anelli ed una collana: pace, odio, amore, guerra e fede distribuite in ordine sparso tra anulari, mignolo sinistro e collo.

Time has told me
You're a rare rare find
A troubled cure
For a troubled mind

And time has told me
Not to ask for more
Someday our ocean
Will find its shore
 
Senza accorgermene sto tremando. E non per il freddo, l’aria è così felice di vedermi che quasi ha smesso di essere pungente. Mantengo fermo il cortex pad sotto il naso. E' ormai più di una settimana che sono qui, alla ricerca di ciò che ancora non ho perduto del tutto.
Respiro e mi sembra di rileggere pagine ingiallite già scritte da me stessa qualche sera addietro senza accorgermene.


Ti sembrerà strano che mi ritrovi nel bel mezzo della notte a rimpinzare di parole questo cavolo di codex, invece di macchiare come al solito decine di fogli di carta...
Si ho questo vizio...scrivo, appunto, cancello...e spesso disegno...ma sono tremendamente gelosa di ciò che produco...questa stanza l'hanno percorsa poche paia di piedi...e meno occhi hanno potuto vedere...
 
Ad ogni modo...Evah non c'è, non so nemmeno dove sia, ed io cerco di occupare il mio tempo di riposo, combattendo l'insonnia a colpi di parole.
 
Non so per quale motivo la tua testolina rossa e quello che c'è dentro, e il tuo corpicino allenato, e quello che c'è dentro, mi stiano così a cuore.
Non è da me, decisamente.
Eppure è così.
Evah dice che noi due ci somigliamo, e forse è davvero così.
Quindi, visto che spesso non riesco a prenderemi cura di me, il cercare di farlo con te potrebbe essere una specie di "riflesso"...terapeutico.
 
No, c'è altro.
Lo sento.
Forse questi occhi hanno visto qualcosa in te, che i tuoi non hanno nemmeno ancora sfiorato.
 
Non sarò mai una persona gentile ed affabile, non sarò mai diplomatica.
Non sono Evah, né sarò mai come Brent, né figuriamoci come Amelie...
 
Io sono ruvida come carta vetrata, spinosa e graffiante come filo spinato.
Per alcuni versi assolutamente sgradevole.
Eppure sono sincera fino al midollo.
 
Hai ragione, ieri sera mi sono permessa fin troppe libertà con il tuo spazio.
Per questo sono andata via.
Per questo non ho lasciato spiegazioni in giro.
 
Ma da quello che mi avevi scritto, nel non detto, ho letto qualcosa.
Ho capito che cercavi un appiglio e mi sono presentata per fornirtelo.
Ma è anche vero che devi cavartela da sola, anche in un frangente che fino ad oggi ti è risultato sconosciuto.
 
Hai molto di più di quello che mostri, dentro di te.
 
Cercare di proteggerlo mostrando ciò che non sei, o peggio, cercare di negarlo, non ti sarà di aiuto.
Proteggilo.
Prenditi cura di come sei.
Cresci nel modo in cui vuoio crescere.
Non ti far condizinare da nessuno
 
Posso solo darti un consiglio che l'esperienza mi ha offerto: non lasciare che i legami che si creano nel tuo mondo, vengano tarpiti. Soprattutto non troncarli tu per prima.
Fallo solo se sei costretta dalle circostanze, se non farlo metterebbe a rischio te o le persone coinvolte da quel legame.
Ma vivilo il più possibile.
 
Ora vado a cercare di dormire...l'alcol che ho in corpo finalmetne sta facendo effetto...
Forse ne ha fatto ancora prima, e forse tutte queste parole ne sono l'effetto...
Vedila come preferisci....
Puoi sempre premere il tasto di cancellazione e ignorare che tutto questo sia mai avvenuto.
'Notte nanerottola...
 
Ombra
 
[allegato c'è un link che riporta ad un bislacco disegno fatto da Mug]


"Ma cosa vuoi che ti dica, Mugh. Stai sbagliando tutto. Non andrai da nessuna parte. Ti stai lasciando la migliore occasione che avresti mai potuto avere alle spalle. Anzi, l’occasione migliore l’avevi davanti agli occhi, e ti stai arbitrariamente girando. Come...come pensi di riuscire a allacciarti le scarpe domani mattina, quando tutto ti apparirà chiaro, ma sarà troppo tardi. Perché sarà troppo tardi. Perché non avrai altre possibilità. E’ un attimo sai. Un attimo! Prima hai tutto tra le dita, sulla punta delle unghie, a portata di polpastrelli.
Ma sentiti... sentiti! Dovrei essere io a scrivere di certe cose a te, stupida Gambelunghe.


Electra,
ho pensato un bel po' a cosa dire e a come dirlo. Ogni cosa che mi veniva in mente mi sembrava stupida e banale. Probabilmente, in questo momento sono davvero stupida e banale. Allora mi è venuta in mente questa poesia. E' una delle mie preferite. E' per te. Da me. Per dirti grazie. Per così tante cose che non saprei da dove iniziare davvero.
Tua,
Zoya


CAMMINI SUI MIEI SOGNI

Se avessi il drappo ricamato del cielo,
Intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
I drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
Dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
Stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
Invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.

William Butler Yeats, poeta della Terra che fu

Sono uscita di casa canticchiando il motivo di “Riverman” di Nick Drake. Se c’è una cosa di Boros che apprezzo è il silenzio. Nelle zone a traffico limitato, nelle strette vie ciottolate del centro, dove è assente il rumore dei motori, quella cortina di mutismo è assordante. Trapassa le orecchie in modo quasi violento, stanziandosi tra le due tempie. I miei pensieri più intricati e le mie preoccupanti conversazioni ad alta voce con me stessa,  hanno come spettatori quel silenzio e quelle case basse con il tetto spiovente e la mansarda. Il Saloon è infondo alla strada, ancora decadente come l'ho lasciato.

So I`ll leave the ways that are making me be
What I really don't want to be
Leave the ways that are making me love
What I really don't want to love

Time has told me
You came with the dawn
A soul with no footprint
A rose with no thorn

Your tears they tell me
There's really no way
Of ending your troubles
With things you can say

Non riesco a ricordare quello che ho sognato, ma ricordo alcuni odori e la maggior parte dei colori di quel mio viaggio nel subconscio.  Terra bagnata, lacca per capelli, blu oltremare, glicine, rosa pastello, bianco di zinco. Ricordo un sorriso e mi faceva stare bene, ma non mi manca.
Sono i fantasmi di questa terra a cullare le mie notti grige. E sogni e morte e pianti e urla di gioia e di dolore, gli spari, la neve, il deserto sotto di essa, l'erba secca e bruciata dei campi abbandonati, l'armonica a bocca di mio padre è come eco tra queste mura stanche. Lascio scivolare il nulla e il tutto assieme tra le dita. 

So leave the ways that are making you be
What you really don't want to be
Leave the ways that are making you love
What you really don't want to love

Respiro dinuovo, tra queste crepe.