martedì 25 dicembre 2012

It's a Christmas song.


There are few who deny,
At what I do I am the best,
For my talents are renowned far and wide
When it comes to surprises
In the moonlit night
I excel without ever even trying
With the slightest little effort
Of my ghost-like charms,
I have seen grown men give out a shriek
With a wave of my hand
And a well-placed moan,
I have swept the very bravest off their feet!
Yet year after year,
It’s the same routine
And I grow so weary
Of the sound of screams
And I, the pumpkin king,
Have grown so tired of the same old thing…
Oh, somewhere deep inside of these bones
An emptiness began to grow,
There’s something out there far from my home,
A longing that I’ve never known
I’m the master of fright , and a demon of light
And I’ll scare you right out of your pants.
No animal nor man can SCREAM like I can
With the fury of my recitations,
But who here would ever understand
That the Pumpkin King with the skeleton grin
Would tire of his crown, if they only understood
He’d give it all up if he only could…
Oh, there’s an empty place in my bones,
That calls out for something unknown
The fame and praise come year after year
Does nothing for these empty tears.

[Nightmare Before Christmas.
Jack's Lament.
Terra-che-fu.]

domenica 23 dicembre 2012

Default.


La prossima volta che m'innamoro, voglio un uomo un po' freddo. Qualcuno che non assecondi ogni mio inutile capriccio. Però deve essere uno che, se per esempio litigassimo, il giorno dopo si presentasse da me con una rosa e una frase d'amore…

Un uomo così.

Cerca l'immagine di se riflessa sullo specchio sbeccato del bagno umido all'interno del suo appartamento spoglio. Non le era mai interessato di riempirlo con inutili cianfrusaglie. 
Solo il necessario per sopravvivere.
Lei era così.
Si aggrappava alle cose necessarie, quelle che continuano a farti battere il cuore nel petto.
Si aggrappava a se stessa, non alle cose.
Un divano nero in simil-pelle ancora coperto dalla stessa plastica con cui lo aveva comprato. Un basso tavolino stracolmo di posaceneri che non si prendeva la briga di svuotare. Un letto, semplice, ad una piazza e mezzo perchè da soli si sta meglio, ma meglio stare comodi. Un armadio pieno di camice maschili. Alcune non le avrebbe mai indossate. Un tavolo da pranzo mai usato. Una cucina altrettanto intonsa.

Cercava i suoi occhi stanchi. Il vuoto che s'era lasciata attorno aveva reso quelle occhiaie ancora più profonde e lasciato il segno nelle iridi non più luminose. Erano vacui e vitrei, e ci cercava dentro ancora i cocci di quei 21 grammi che aveva perduto.

Ciao. Sono Electra Williams. Non so dove sono nata. Non ho mai visto il volto di mia madre e quello di mio padre l’ho dimenticato. A quattro anni mi sono trasferita a Boros. 
Lavoro giorno e notte, e continuo a coltivare sogni che puntualmente si infrangono.
  
 Aveva sei anni. Se ne stava in equilibrio sulla punta dei piedi nudi, vestita di morbido cotone bianco.
Il papà se ne stava in piedi, di spalle. Imbracciava un fucile e parlava con l'uomo dai baffi rossi, incurante che la mocciosa frignasse spiando al dilà della finestra. Lo ammirava. Se avesse potuto scavalcare quel davanzale gli sarebbe saltato al collo urlando di contentezza a pieni polmoni.
-Papà!- esalò un lamento tra le labbra, mentre -sentendosi abbandonata-, si aggrappava con le piccole braccia al davanzale della finestra della casa in legno al piano terra, cercando disperatamente di saltare dall'altra parte. Il papà si voltò a cercare la fonte di tale disturbo. 
I suoi occhi erano gelidi, rabbiosi e infastiditi. Non le avrebbe mai perdonato d'averle portato via l'unica donna che aveva mai amato, sopravvivendo come un lurido parassita al posto suo.
La bambina non ha mai dimenticato quello sguardo.
-Ti voglio bene!- protestò lei, tra le lacrime immotivate che non aveva ancora imparato a trattenere.
-Ti ho detto di aspettare in casa! Il papà ha da fare. Lo capisci, questo?- per quanto non riuscisse a ricordarne le rughe d'espressione sul volto non più giovane, la voce ruvida le risuonava ancora nelle tempie di tanto in tanto, nei momenti di più profonda solitudine.
L'abbandono, l'aveva imparato in fretta.


Sono passati dieci anni da quel giorno. Cinque giorni dai suoi sedici anni.
Stevens le teneva la mano, stretta in una presa che l'avrebbe di li a poco infastidita. Che di li a poco avrebbe evitato. Il cunicolo in cui si erano infilati era una vecchia miniera di carbone in disuso. 
La puzza di zolfo tormentava le narici di entrambi, ma non si tirò indietro quando il biondino più grande di lei di qualche anno tentò di ficcarle la lingua in bocca, malamente. 
Era un contatto umido e strano. La pelle fremeva sotto la sua stretta irruenta e non poteva fare a meno di pensare che tutto quello non lo aveva voluto.
Pochi secondi e lo respinse di scatto, rifilandogli un ceffone che non avrebbe dimenticato dopo anni, che si sarebbe legato al dito come un marchio indelebile. Una profonda cicatrice nell'orgoglio giovane.
-Perchè devi essere sempre così? Non ti amerà mai nessuno.- Le ringhiò in faccia incattivito, massaggiando la guancia dolorante, prima di alzarsi di scatto e cercare l'uscita.
Non aveva compreso la paura negli occhi chiari di quella ragazzina. O forse non gli importava scavare a fondo nelle ragioni di quel rifiuto.
Lei rimase a guardarlo aggrottata, mentre si allontanava. Le braccia strette attorno al petto. Lo sguardo cupo.
-Non ho bisogno che qualcuno mi ami. Sarò felice comunque, senza di te. Sarò felice lo stesso anche da sola. Un giorno vedrai!- Riuscì ad urlargli dietro prima che l'ombra sparisse nella polvere della miniera abbandonata.
L'abbandono, una costante.

In quel periodo credeva di non volersi innamorare mai più. Invece, quella notte, pregando per la felicità di Stevens, iniziò a pensare che nonostante il dolore e le ferite che avrebbe potuto causarle, avrebbe voluto sognare ancora una volta e amare qualcuno… con tutto il cuore.

mercoledì 12 dicembre 2012

Destroy, to create.

La distruzione è un processo creativo.


Ci sono persone che nascono con il dramma nel sangue.
Ci sono persone che nascono vedendo morire tutto ciò che li circonda, crescendo vedendo sciogliersi legami, morendo con un mucchio di polvere tra le dita. 
Perchè non hanno mai visto altro e non hanno mai imparato a fare altro. 
E' un dono. 
Distruggere per creare da capo. 
Ancora e ancora.

Credo che ne fossi destinata fin dalla nascita, in fondo. Mia madre è morta dandomi alla luce, il mio Pianeta è stato distrutto, mio padre è stato ucciso, il mio primo amore è scomparso nel nulla.
E' così la vita, no? Un ciclo dove tutto si ripete all'infinito e nulla accade mai nelle medesime meccaniche.
Sia chiaro, non rimpiango niente. 
Si è sempre artefici del proprio destino.

-Non sto bene, Bernardo.
-Lo avevo intuito, Electra.
-Sto prendendo degli psicofarmaci, per la rabbia. Non funzionano... ho bisogno di qualcos'altro.
-Se non esiste niente di meglio, farò in modo che esista per lei, Electra.

Devo andarmene di qui, e alla svelta.
Devo scomparire.

Hall Point mi fa male.
Hall Point mi consuma. Mi consuma l'anima. 
Mi consuma l'anima.

Ne parlo con Bernardo. Lui pensa immediatamente che io voglia togliermi la vita, ma non è così.
Gli chiedo se è possibile essere sottoposti ad un intervento di plastica facciale. Gli chiedo se lui ne sarebbe capace.
Mi chiede perchè.
Non offro risposte.

Mi chiedo perchè non mi arrivano notizie da Neville, niente, non un solo messaggio.
Mi preoccupo che gli sia successo qualcosa di male. Ne parlo con Black. Lo metto alle strette.
Sembra che nemmeno lui sappia nulla.
Qualche ora dopo sono già completamente ubriaca.
Osservo il fondo della bottiglia e ci vedo riflesso solo profonda solitudine. Rabbia. Mi faccio quasi pena.
C'è ancora Black accanto a me, dopo ore. Non se nè ancora andato.
Io sono ubriaca, dannatamente ubriaca.
Lo guardo. Rido di me stessa. Mi apro, gli confesso che si, per un attimo ho pensato di portarlo a letto.
A lui l'idea non sembra dispiacere.

-Come se non ci fosse un domani, Black.

E così è successo. Ci siamo baciati. Contro ogni aspettativa.
E' così che accadono le cose, no? Un minuto prima sei al top, un attimo dopo sei cibo per vermi, crogiolandoti nelle tue debolezze, nelle tue fottutissime paure.
Avevo paura di restare sola.
Ora sono sola.
Sono maledettamente debole.

Provo rabbia, profonda rabbia.
Alla fine ha raccontato tutto a Neville, non so perchè, e non so nemmeno cosa gli abbia raccontato.
Non importa, mi dico. Non avevo poi molto da perdere.
Proprio adesso che mi ero convinta a tornare.
Avrei lasciato Hall Point per tornare alla Monkey, ma io non sono più una di loro, no.
Sono il nemico. Freddo e spietato. Sono l'incarnazione di tutto ciò che c'è di più sbagliato nella razza umana.
Sono il male, sono la follia, sono la depravazione, il Caos.
E così reggo il gioco.
Non importa quel che sei, importa solo quello che vuoi far credere di essere.
Sono maledettamente debole.

-Perchè lo hai fatto? Era un bacio. Uno stramaledettissimo, stupido, inutile bacio.
-Per me era più di un bacio.
-E cosa cazzo era secondo te, Black?
-Non lo so, so solo che riesci a sconvolgere il mio universo, Rouge. So solo che ti avrei preso, ti avrei preso seduta stante e non me ne sarebbe importato niente della mia donna, di Neville. Riesci a mettere in dubbio tutto ciò in cui credo.
-Tu mi hai tolto tutto, Black...

Piango, senza riuscire a trattenere le lacrime negli occhi. Senza riuscire a trattenere le emozioni che mi si aggrovigliano dentro il petto. Non mi sentivo così vulnerabile da secoli.
Sono maledettamente debole.

-La... amavi?
-Io non sono capace di amare.
-Lo amavo davvero, sai?
-Anche io credevo che lui ti amasse... io ti avrei ripreso con me.

Ammetto d'essere sorpresa.
Mi lascio segretamente ammaliare.
Non credo ad una sola parola di ciò che dice, ma mi lascio sorprendere comunque, forse perchè dentro di me spero davvero di non essere rimasta sola, di avere ancora un appiglio a cui aggrapparmi.
Sono maledettamente debole.

Mi mostro cattiva, odiosa, affamata di vendetta.
E invece niente, nessuna soddisfazione, nemmeno quando gli chiedo subdolamente di scegliere tra me e Neville.
Lo vedo che tituba, lo vedo che non ha alcuna intenzione di lasciarsi alle spalle una vita intera per una come me. Sorrido.
Avrei dovuto sparargli, ma non l'ho fatto.
Sono maledettamente debole.

Ogni creatura sulla terra quando muore è sola.
Ed io devo assolutamente morire adesso prima che il resto mi consumi.



Ciò che muore non può morire, ma solo rinascere ancora più forte.
 
Electra Williams deve morire.




lunedì 10 dicembre 2012

Hin Long

  I'm made ​​up of fear.


Continuo a cercare risposte. Le voci nella mia testa mi suggeriscono sempre più risposte assurde a domande che già da sè possiedono dell'irreale.
Vengeance mi guarda con quegli occhioni espressivi, come volesse parlare e raccontare ciò che ha subito ad un solo mese di età. Il suo DNA parla per lui.
Sapevo vi fosse stato impresso sopra qualcosa. Ai miei occhi tutto appariva chiaro eppure la mia mente si rifiutava di collaborare, così è alla Blue Sun, a Declan Khan che mi sono affidata.
Quella donna è determinata e spaventosa quanto se non più di me. L'ho percepito nei suoi occhi gelidi.

La combinazione dà luogo a 7 liste, ognuna di 12 nomi, di varia origine etnografica.
Il file genetico porta un nome storicamente noto: Hin Long, uno dei primi politici dell'Alleanza anglocinese.

Cosa può avere a che fare un bambino con l'Alleanza?
Cosa può avere a che fare con un politico di oltre seicento anni fa?
Sono ancora a caccia di risposte, ma la matassa non si dipana, anzi, si ingarbuglia ulteriormente.

L'esimio professor Pendleton. Plurilaureato in scienze antiche all'università di Capital City.
Le targhe perfettamente lucidate pendevano alle mie spalle come una falce. L'enorme peso dell'ignoranza.
E' un uomo inaspettatamente giovane. Mi sorride. Gli occhialetti dalla montatura sottile e dalle lenti spesse coprono due occhi neri attenti e colmi di intelligenza vivida.
Lo lascio parlare. Ammirata, catturata dalle sue parole e dalla sicurezza sfacciata e quasi impavida con cui le snocciola. Ha davanti la menager di una delle organizzazioni paramafiose più famose del 'Verse e non se ne cura, quando attribuisce ad Hin Long, collegamenti strettissimi con la giovane Triade di quel tempo.
Narcisista, cede alla lusinga di una curiosità genuina.

-Hin Long è stato un politico del primo governo anglo cinese, figlio di un generale cinese, Jin Long che guido il nuovo insediamento. Fu eletto a furor di popolo nel parlamento di Xinhion, quando l'alleanza anglocinese era in pratica ai suoi albori, si distinse per rettitudine e fu uno dei fautori dell'Alleanza anglocinese stessa. Una figura, tuttavia, a mio giudizio mal valutata dalla maggior parte degli storici, Miss Williams. A mio giudizio, in effetti, l'immagine che ne abbiamo oggi è più bianca di quello che in realtà è stata ai suoi tempi.

Appunto tutto, parola dopo parola. Non mi perdo una sillaba di ciò che l'esimio docente semina con così tanta semplicità, piantando il seme del dubbio all'interno della mia mente, ormai radicato in profondità come le radici di un albero vecchio di secoli.
Pendo dalle sue labbra. Inizio a muovere domande, ad inerpicarmi in un terreno fin troppo impervio.
Pendleton si scioglie. Si alza. Mi si avvicina cortex alla mano.
Piazza sul tavolo di legno massiccio il terminale e richiama alcuni appunti.
Un'immagine chiara mi scorre davanti agli occhi come una Sacra Reliquia.

-Guardi qui- Mi mostra un ingrandimento in sezione delle dita della mano del cinese anziano quanto l'Universo stesso.Cinque puntini a forma di stella, in blu.
-Vede, si tratta di un segno di riconoscimento della Triade, proprio nell'incavo tra pollice ed indice. 

Ammetto a me stessa d'essere stupita. Più interessata di quanto non lo fossi varcata la porta antica dell'ufficio del professore. Lo invito a parlare ancora, avida.
Ancora una volta espongo giudizi, curiosità, dubbi.
Lui parla a briglia sciolta, estasiato, con calore e trasporto.
Sembra stia facendo l'amore con le mie cervella.

-Ritengo che il primissimo governo federale fosse minato all'interno da una persona che pare avere palesi connessioni criminali: e non solo, miss, non solo...- azzarda, incurante d'avere avanti la sua potenziale assassina. -Ritengo che abbia esercitato gran parte della sua attività politica proprio al fine di favorire tali connessioni.. Fu sostenitore della necessita' di "spazi commerciali liberi e liberali": l'impianto iniziale del concetto di Skyplex, Miss. Appoggiato peraltro da vasti gruppi etnici, industriali, politici. Una materia che lei conosce bene. E non penso di doverle far notare io la fama che gli skyplex hanno anche attualmente...-

Pare imbarazzato.
Lo informo del pericolo che le sue ricerche possono significare.
Inconsciamente, lo sto minacciando.

-Pericolo?Dice?Non ho mai analizzato la questione sotto questo punto di vista. Parliamo di fatti di seicento anni fa, non di attualità-

Se solo sapesse.
Se solo sapesse.
Ha paura, si vede. D'un tratto la lingua non è più così sciolta ed io mi sento fremere dentro.
Un calore simile all'eccitazione, quando il terrore per chissà quale ripercussione, gli si stampa in faccia.
Sorrido.
Lo rassicuro, bonaria.
Le mie intenzioni erano genuine, no?

-Sto...studiando i gruppi che hanno appoggiato l'operato di Hin Long, ritengo possa esservi uno schema, che siano strutture ben precise con una radice non univoca ma chiara.- E' nervoso. Incerto.Tituba quasi nel replicare. Pendleton non pare più così estatico.
-La ringrazio per il suo tempo, professore.
-Mi scusi, Miss Williams, ma ho del lavoro da completare. Magari ci rivediamo prossimamente.

E chissà perchè, sono sicura che la possibilità lo atterrisse.

mercoledì 5 dicembre 2012

Save my soul from myself.

Mughain s'è rifugiata all'interno di un tempio Buddhista, ormai quasi quattro mesi fa. Quella pazza. 
Non si è preoccupata di ciò che si sarebbe lasciata alle spalle. 
Non si è preoccupata di me.
Egoista pensare una cosa del genere, lo so, ma non posso fare a meno di pensare a lei quando ritorno nel mio alloggio vuoto, sullo Skyplex.
Non mi curo di accendere quella fastidiosa luce fredda al neon, non mi curo di spogliarmi, di mettermi comoda, so che anche stanotte saranno poche e cattive le ore di sonno. Resto a contemplare lo specchio sbeccato nel bagno in fondo a destra, oltre una macchia indelebile di whiskey sulla moquette.
Incredibilmente, ricordo ogni particolare di quella sera.
Sorrido tra me e me.
Ricordo lei, la sua rabbia, le sue parole graffianti in gola e le fiamme che ondeggiavano imperiose nei suoi occhi chiari.
Credo di averla amata e odiata tanto da non riuscire a dimenticare nulla dei nostri continui scambi, botta e risposta, a volte botte e ben poche risposte. Il suo odore. Il modo segretamente violento con cui spegneva la cicca all'interno del posacenere dopo le nostre strane chiacchierate.
La amavo, si.
Peccato che lei non lo saprà mai.

-C'hai mai pensato al tuo funerale, Tyler?
-E perchè dovrei? Io non parteciperò di sicuro.
-Nemmeno io, se è per questo.
-Non ne dubito. Ma sarò io a seppellire te. Questo è certo.
-E pregherai?
-Non credo. Hai di sicuro un posto già prenotato all'Inferno, Williams.
-Verrai da solo?
-A meno che tu non abbia intenzione di appiopparmi quel marmocchio, si.
-Piangerai? Qualcuno piangerà?
-Ouff... non lo so, Williams. Vorresti che piangessi?
-Forse. Mi consolerebbe saperlo.


Mi sorride, in modo ingenuo e dolce. Vorrebbe essere rassicurante.
Chissà perchè proprio adesso questo senso impotente di vuoto mi preme sullo stomaco senza darmi tregua.
Chissà perchè proprio adesso il pensiero di morire sola mi faccia tanta paura.
Lo so, so che sarò sola quel giorno, che probabilmente nessuno sarà lì a piangere per me.
Me lo merito di sicuro.
Eppure... dentro di me so che nemmeno io ho il potere di cambiare questa situazione.
Dentro di me so, che sarebbe solo una liberazione per molti, per tutti forse.
Forse anche per me.

-Sai una cosa, Emile?
-Cosa?
-Ho intenzione di vivere tanto a lungo che nessuno, nessuno avrà il tempo di piangere per me.
Perchè sarò io a piangere per loro.
-Ma... tu non piangi, Williams.
-E' vero, Emile... non piango. Non piango Mai.