domenica 23 dicembre 2012

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La prossima volta che m'innamoro, voglio un uomo un po' freddo. Qualcuno che non assecondi ogni mio inutile capriccio. Però deve essere uno che, se per esempio litigassimo, il giorno dopo si presentasse da me con una rosa e una frase d'amore…

Un uomo così.

Cerca l'immagine di se riflessa sullo specchio sbeccato del bagno umido all'interno del suo appartamento spoglio. Non le era mai interessato di riempirlo con inutili cianfrusaglie. 
Solo il necessario per sopravvivere.
Lei era così.
Si aggrappava alle cose necessarie, quelle che continuano a farti battere il cuore nel petto.
Si aggrappava a se stessa, non alle cose.
Un divano nero in simil-pelle ancora coperto dalla stessa plastica con cui lo aveva comprato. Un basso tavolino stracolmo di posaceneri che non si prendeva la briga di svuotare. Un letto, semplice, ad una piazza e mezzo perchè da soli si sta meglio, ma meglio stare comodi. Un armadio pieno di camice maschili. Alcune non le avrebbe mai indossate. Un tavolo da pranzo mai usato. Una cucina altrettanto intonsa.

Cercava i suoi occhi stanchi. Il vuoto che s'era lasciata attorno aveva reso quelle occhiaie ancora più profonde e lasciato il segno nelle iridi non più luminose. Erano vacui e vitrei, e ci cercava dentro ancora i cocci di quei 21 grammi che aveva perduto.

Ciao. Sono Electra Williams. Non so dove sono nata. Non ho mai visto il volto di mia madre e quello di mio padre l’ho dimenticato. A quattro anni mi sono trasferita a Boros. 
Lavoro giorno e notte, e continuo a coltivare sogni che puntualmente si infrangono.
  
 Aveva sei anni. Se ne stava in equilibrio sulla punta dei piedi nudi, vestita di morbido cotone bianco.
Il papà se ne stava in piedi, di spalle. Imbracciava un fucile e parlava con l'uomo dai baffi rossi, incurante che la mocciosa frignasse spiando al dilà della finestra. Lo ammirava. Se avesse potuto scavalcare quel davanzale gli sarebbe saltato al collo urlando di contentezza a pieni polmoni.
-Papà!- esalò un lamento tra le labbra, mentre -sentendosi abbandonata-, si aggrappava con le piccole braccia al davanzale della finestra della casa in legno al piano terra, cercando disperatamente di saltare dall'altra parte. Il papà si voltò a cercare la fonte di tale disturbo. 
I suoi occhi erano gelidi, rabbiosi e infastiditi. Non le avrebbe mai perdonato d'averle portato via l'unica donna che aveva mai amato, sopravvivendo come un lurido parassita al posto suo.
La bambina non ha mai dimenticato quello sguardo.
-Ti voglio bene!- protestò lei, tra le lacrime immotivate che non aveva ancora imparato a trattenere.
-Ti ho detto di aspettare in casa! Il papà ha da fare. Lo capisci, questo?- per quanto non riuscisse a ricordarne le rughe d'espressione sul volto non più giovane, la voce ruvida le risuonava ancora nelle tempie di tanto in tanto, nei momenti di più profonda solitudine.
L'abbandono, l'aveva imparato in fretta.


Sono passati dieci anni da quel giorno. Cinque giorni dai suoi sedici anni.
Stevens le teneva la mano, stretta in una presa che l'avrebbe di li a poco infastidita. Che di li a poco avrebbe evitato. Il cunicolo in cui si erano infilati era una vecchia miniera di carbone in disuso. 
La puzza di zolfo tormentava le narici di entrambi, ma non si tirò indietro quando il biondino più grande di lei di qualche anno tentò di ficcarle la lingua in bocca, malamente. 
Era un contatto umido e strano. La pelle fremeva sotto la sua stretta irruenta e non poteva fare a meno di pensare che tutto quello non lo aveva voluto.
Pochi secondi e lo respinse di scatto, rifilandogli un ceffone che non avrebbe dimenticato dopo anni, che si sarebbe legato al dito come un marchio indelebile. Una profonda cicatrice nell'orgoglio giovane.
-Perchè devi essere sempre così? Non ti amerà mai nessuno.- Le ringhiò in faccia incattivito, massaggiando la guancia dolorante, prima di alzarsi di scatto e cercare l'uscita.
Non aveva compreso la paura negli occhi chiari di quella ragazzina. O forse non gli importava scavare a fondo nelle ragioni di quel rifiuto.
Lei rimase a guardarlo aggrottata, mentre si allontanava. Le braccia strette attorno al petto. Lo sguardo cupo.
-Non ho bisogno che qualcuno mi ami. Sarò felice comunque, senza di te. Sarò felice lo stesso anche da sola. Un giorno vedrai!- Riuscì ad urlargli dietro prima che l'ombra sparisse nella polvere della miniera abbandonata.
L'abbandono, una costante.

In quel periodo credeva di non volersi innamorare mai più. Invece, quella notte, pregando per la felicità di Stevens, iniziò a pensare che nonostante il dolore e le ferite che avrebbe potuto causarle, avrebbe voluto sognare ancora una volta e amare qualcuno… con tutto il cuore.

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