giovedì 22 novembre 2012

Carnival.

Ammetto che il mio non riuscire a trovare il tempo di buttare giù due righe non è casuale. Fare la Head e mandare avanti Hall Point diventa ogni giorno più complicato, e il peso della responsabilità inizia a gravare come un macigno sulle mie spalle, ma tengo duro, ancora, tengo duro perchè sono legata visceralmente a questo luogo, tanto da essermi persino venduta l'anima.

Tirando un po' le somme non posso dire di cavarmela male, anzi, nonostante le avversità sono ancora qui, salda come una roccia.
L'inaugurazione della Carnival Mistress si è conclusa per il meglio, nonostante i miei timori iniziali, e mi ha dato modo di approfondire certi lati di me che non conoscevo.
Ho avuto modo di incontrare Wolfwood, il Touzi della Shouye. Un uomo interessante, senza dubbio... mi ha affascinato. Così controllato, misurato, silenzioso. Mi intriga. C'è qualcosa in lui che mi attrae profondamente, sarà forse quel velo di mistero che si porta appresso, ma io... proprio io non posso biasimarlo. Vergil invece, lui è così vero che a volte ne ho timore, tanto diverso da me che a volte mi chiedo cosa ci leghi ancora in modo così profondo... sarà per questo che lo amo. Perchè in lui vedo quello che non potrò mai essere.
Abbiamo passeggiato insieme nel pomeriggio, con Wolfwood, mentre la nebbia copriva lo splendido profilo del giardino della Casa. Sono fortemente convinta che entrambi fossimo coscienti che l'uno mentiva all'altro, o meglio, che entrambi nascondessimo gelosamente qualcosa di noi.
Una maschera, si. Se di Carnevale si tratta, io sembro guidare le danze con il più bello e vistoso dei costumi.
Non è Electra quella che ha passeggiato affianco al Touzi, trattenendone il braccio a se in una stretta delicata e quasi impercettibile del braccio sottile. Non è Electra quella che si è spinta oltre le porte di ciò che c'è di più lontano al mondo rispetto a lei. E' la Head. E' la mente e la testa di Hall Point, la sua faccia, quella che mi ostino a voler mostrare.

Poi ci sono loro, i miei dipendenti, e anche a loro non mostro mai del tutto ciò che sono.
Bach, che mi chiedo se realmente sia adatta al ruolo che ha deciso di investire all'interno di Hall Point, a volte mi chiedo se non sia ancora troppo fragile per mantenere su di se il peso dei segreti che avvolgono la lattina rotante. A volte mi chiedo se il suo desiderio di rivalsa non l'abbia annebbiata o se sia giusto che cerchi dentro di se quella forza che fino ad ora le è mancata. Cerco di sostenerla, per quanto in mio potere, ma lo faccio in modo discreto, in modo che non se ne accorga... perchè un giorno dovrà fare da se, è sulle sue gambe che dovrà camminare. Io non sarò lì per sempre.
Sarà che prendermi cura di lei è un modo per prendermi cura di me stessa, visto che non lo so fare, ma vedo in lei qualcosa, una luce o forse un ombra, che mi fa credere che un giorno sarà in grado di trovare quella forza che dentro di se adesso crede di non avere.
Sarà in grado anche lei di indossare la maschera che la proteggerà dal mondo.

Black... lui è senza dubbio il mistero più affascinante.
Mi diverte punzecchiarlo, mi diverte essere punzecchiata, in un gioco al rimpiattino dove entrambi sappiamo di non andare a parare da nessuna parte. Anche lui indossa una maschera, anche se crede che non sia così, ma l'ho compreso quando si è aperto, in modo ingenuo e quasi dolce, mi ha mostrato i nervi scoperti della sua vita passata, forse sperando che io li sappia custodire. Forse anche lui, come io sto facendo, mi sta mettendo alla prova.

C'è di buono che il piccolo Vengeance sta bene. Nasconde qualcosa anche quel piccolo marmocchio lamentoso... ha qualcosa dentro, forse un codice o un messaggio, non lo so... ma quel frammento di DNA diceva molto di più di quanto non mi abbia detto Bach.
Intanto ho deciso, contro ogni aspettativa e contro ogni consiglio, di prendermi cura di lui.
Neville non lo sa, è convinto che io mi sia arresa alle sue parole, ma non è così.
Ho un altro motivo per lottare adesso, quel piccolo marmocchio che non si sa da dove viene, ma il cui futuro è stato scritto da me che l'ho raccolto.
Sono stata in parte sollevata di sapere che sua madre fosse già morta prima dell'impatto contro lo Spazioporto. Una vita in meno sulla mia coscienza
.

E adesso torno a indossare la mia maschera, in questo grande Carnevale che è la vita.

giovedì 15 novembre 2012

Vengeance.

-Miss Williams! I sensori hanno rilevato un'anomalia... una nave ha varcato i nostri confini senza chiedere autorizzazione. Miss Williams... si tratta di un Evolution. Lo occupano due forme di vita, pare e... dannazione! C'è un neonato! Miss Williams... cinque minuti all'impatto. Cosa dobbiamo fare?

I sensori della sala di controllo hanno un guizzo rosso lampeggiante che mi abbaglia e confonde le idee. Sudo. La linea rossa che separa l'incontrollabile dalla decisione che avrei dovuto prendere di li a poco vortica frenetica su se stessa e il tempo non lascia scampo. Troppo poco. Troppo poco tempo. Troppe responsabilità di cui rendere conto. Chi sono io per farmi carico della vita o della morte degli altri? Chi sono io per impedire che l'inevitabile accada? Eppure... l'ho fatto. Ho deciso per loro. Ho deciso per lui.


-Fate fuoco.

L'ordine è secco e repentino, non lascia margine d'errore. Non può essere frainteso. Non un'espressione mi solca il viso nel dirlo, mentre il sudore bagna copioso la fronte e i battiti del cuore aumentano dentro il petto, forse a causa dell'adrenalina messa in circolo. Mancavano centoventi secondi all'impatto. Centoventi dannati secondi concessi ad una vita, per soddisfare i miei capricci e la mia necessità di controllo.
Tutto è come deve essere.
Tutto fila bene.
Non c'è scrupolo, non c'è rimorso, non c'è ripensamento.
Non c'è peso sull'anima che ho deciso di vendere, in cambio di un pezzo di metallo freddo che fluttua nel vuoto e nel nero dello Spazio.
C'è solo Hall Point.
C'è solo la luce bluastra delle batterie Laser, l'accecante scoppio di mille piccoli pezzi che si infrangono, briciole di quel che rimane di una madre e di una Speranza, di una donna attaccata alla sua vita e a quella del suo bambino, fino alla fine. La speranza di continuare a respirare. La speranza di un futuro migliore.

Centoventi secondi. Poi il Nulla.

-Ottimo lavoro, a tutti-

In sala comando crolla il silenzio. Nessuno ha il coraggio di incontrare il mio sguardo e alcuni cessano persino di respirare. Come biasimarli? Non avrei avuto il coraggio di guardarmi allo specchio, eppure... a volte la Speranza sopravvive alla certezza.
Eppure...

-Miss Williams... un pod di salvataggio. E' stata rivelata presenza di vita al suo interno.

Trattengo il fiato a stento. Trattengo il sollievo per non mostrare che sono pentita. A dire il vero non mi sono pentita affatto: sono convinta fino alla fine che sia stata la cosa più giusta da fare, per me e per tutti loro. Per tutti coloro che sono stati affidati alle mie cure, alla mia responsabilità. Come una madre snaturata.

-Quale... vita?

Cauta. Placida. L'aria che respiro è densa e faccio fatica a mandarla giù. Come se una vita contasse più dell'altra. Come se una avesse il diritto di continuare a restare attaccata a questo 'Verse, e l'altra l'avesse perso su quell'Evolution in rotta di collo verso lo Spazioporto.

-Il neonato, miss. Il neonato.

Sgrano gli occhi. Non mostro sorpresa, nemmeno sollievo o felicità. Sento solo il peso sulla coscienza farsi sempre più leggero fino a sparire, lasciando spazio al peso della responsabilità per una vita appena sbocciata, che non mi sarei fatta remore di strappare per preservare quella di un mucchio di ferro e luci rosse al neon.

-Recuperiamolo.

Anche questo è un ordine secco, impartito senza pensare. Ancora una volta sto sbagliando e ne sono del tutto consapevole. Ancora una volta, sto scegliendo per qualcun'altro. Sto scegliendo la strada più facile, ciò che ritengo sia meglio per me, per la mia coscienza, per lavare via un po' di sporco depositato sopra, incurante se sia la scelta migliore per tutti. Sarebbe stato crudele lasciarlo in balia dello Spazio. O è semplicemente più crudele tenere in vita una creatura dopo avergli tolto tutto? Io conosco bene la risposta.
Scelte.
Scelte che mi sono presa il diritto di prendere.
Ma, adesso, nessun'altro può farlo al posto mio. Nessun'altro può decidere per me, e tocca a me decidere per loro. Per lui.

-Quando sarà abbastanza grande avrà tutto il tempo di vendicarsi. E come un marchio indelebile scritto nel destino che qualcuno ha deciso per lui -che io, ho deciso per lui-, il suo nome sarà Vengeance.

sabato 10 novembre 2012

Mai abbastanza.



Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo, io sono sempre cinque minuti fa, il mio dire è fallimentare, io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all’essere e non lo so dire. io sono senza aggettivi, io sono senza predicati, io indebolisco la sintassi, io consumo le parole, io non ho parole pregnanti, io non ho parole cangianti, io non ho parole mutevoli, io non disarticolo, non ho parole perturbanti, io non ho abbastanza parole, le parole mi si consumano, io non ho parole che svelino, io non ho parole che puliscano, io non ho parole che riposino, io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza parole, mai abbastanza parole. Ho solo parole correnti, ho solo parole di serie, ho solo parole del mercato, ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti.


-Vuoi stare fermo, Santo Dio?-
Emile ha sempre avuto il brutto vizio di dondolarsi su quella dannata sedia quando non aveva come impiegare meglio le sue forze e il suo tempo. Mi stava accanto da un paio d'ore, in silenzio, dondolandosi su quella dannata sedia ad intervalli regolari. Le braccia incrociate sotto la nuca.
Si voltò subito dopo e mi sorrise. Non rispose, ma smise di darmi noia.
-'Fanculo, stronzo... cosa diavolo ridi? Ho la faccia di una che è in vena di scherzi?
-No, hai la faccia di una che sta per sposare l'uomo sbagliato.
Aggrottai la fronte e affinai lo sguardo. Ero arrabbiata, ma non con lui. Come sempre l'unica fonte della mia rabbia risiedeva dentro di me, e io non avrei saputo fare di meglio che ferirmi, per cercare di estirparla.
-Sta' zitto.
Mormorai. Chiusi gli occhi. Cercai di dormire, ma Emile riprese a dondolare sulla dannata sedia.
-Ti diverti con poco, mh?
Domandai, spazientita.
-Non puoi dormire per sempre per evitare di pensarci.
Era vero, pensai.
Gettai uno stanco sospiro dalle labbra e tornai a guardarlo.
-Cosa vuoi che ti dica?
-Tutto quello che ti passa per la testa...
Rispose distrattamente, come se fosse un'ovvietà e poi tornò in silenzio. Aveva chiuso gli occhi anche lui e il cappellaccio da cowboy gli copriva mezza faccia.
Sospirai ancora. Avevo proprio bisogno di parlare e invero aspettavo solamente che me lo chiedesse.
Forse lui ne era pienamente consapevole.
-Tutto quello che mi passa per la testa è noioso e confusionario e finiresti col non capirci niente... diciamo che stavo riflettendo sul fatto che, per quanto ci sforziamo, non possiamo mai veramente determinare il corso degli eventi. Lo trovo spaventoso... ma ci pensi? Qualsiasi cosa tu faccia, in un soffio, tutto può crollare come un castello di carte...
Mi persi per qualche istante ad osservare un punto morto difronte a me. Non mi aspettavo una risposta. Non da Emile. E invece quella volta mi aveva stupito.
-E quindi?
Mi chiese, con naturalezza e la curiosità sincera di cui si macchiano i bambini al cospetto di un grande mistero.
-E quindi fanculo. Cosa ci affanniamo a fare? Lasciamo tutto com'è... se deve accadere qualcosa, accadrà.
Scrollai le spalle e tornai a chiudere gli occhi. Stavolta ero io che dondolavo sulla sedia.
-Non mi hai ancora detto cos'è successo, però.
Puntualizzò con un ghigno, da sotto il cappello.
Impiegai forse qualche istante di troppo prima di rispondere.
-Per colpa mia sono morte delle persone. Beh.. diciamo che non è stata nemmeno colpa mia... ma ad ogni modo, nessuno se l'è presa con me. Pensano tutti che sia stata colpa di Neville. E questo non lo sopporto. Io lo so che non è colpa sua... 
Spiegai ingenuamente, come se quello potesse afferrarne anche solo lontamente il senso.
Contro ogni altra aspettativa, annuì.
-Sei un'egocentrica del cazzo. Ti rode solo che non se la siano presa con te.
-No. Mi rode che se la siano presa con la persona sbagliata.
-Cosa ne sai tu? C'eri?
Mi zittii improvvisamente. All'improvviso un vuoto tremendo mi riempiva la pancia come un macigno della portata di quintali. Mi chiusi in posizione fetale e mi voltai a dargli le spalle.
Volevo dormire. Volevo piangere. Volevo parlare, forse urlare, forse uccidere qualcuno. Volevo sbattere i pugni forte fino a quando qualcuno non mi avesse dato ragione. Volevo lottare e volevo arrendermi. Volevo vivere. Volevo viverlo. Volevo troppe cose, come al solito.

lunedì 5 novembre 2012

21 Grammi.




La segretezza è il principio della tirannia.



21 Grammi è il peso dell'anima. L'anima è l'unità di misura di tutti i segreti. E' per questo che non riusciamo a tenercene dentro troppi, troppo spesso, 21 grammi sono troppo pochi, è uno spazio infinitesimale in cui racchiudere il grande universo che ognuno di noi si porta appresso. 21 Grammi è un peso troppo irrisorio e alcuni segreti pesano nettamente di più.
Poi ci sono segreti che sono fatti per essere leggeri, e dunque per essere svelati, ma come si fa a pesare un segreto? Questo non l'ho ancora compreso.
Si dice che più si arriva in alto e più è forte il tonfo che fai quando poi cadi dal piedistallo. Io so solo che mi porto dietro troppo peso, e che se non lo butto fuori in qualche modo potrei finire per scoppiare.

In sintesi... Blackbourne se n'è andato e ora tutto regge sulle mie spalle, proprio come avevo desiderato. E' qui che bisogna stare attenti, credo... bisogna prestare molta attenzione a ciò che si desidera, perchè quando ciò accade, si deve rinunciare necessariamente ad altro.

Io non voglio rinunciare a niente.


Non voglio rinunciare a tenere per mano Neville, a dormire con lui, a parlare con lui fino a notte fonda ed affidargli ogni grammo di quei 21.
In fondo la felicità della vita è fatta di frazioni infinitesimali: di piccole elemosine, presto dimenticate, di un bacio, di un sorriso, di uno sguardo gentile, di un complimento fatto col cuore.
La felicità sta nel gusto e non nelle cose; si è felici perché si ha ciò che ci piace, e non perché si ha ciò che gli altri trovano piacevole.


Condividiamo ottime, canoniche, idee di noi stessi e ci scambiamo complimenti confezionati...sembra tutto così "normale" che quasi suona strano.
Eppure, in qualche strano modo, ogni volta che mi trovo a far spazio agli occhi tra i capelli per ascoltare ciò che dice...e a mettere (dis)ordine nei miei pensieri per trovare i semafori verdi delle risposte alle sue domande senza punto interrogativo...la normalità, la confezione, il canone...sono distanti quanto Galassie.
Credo, e diamine è quasi un discorso serio finirò per spaventarmi, che lui sia una delle poche persone, una delle pochissime, a cui affiderei ogni mio filo scoperto...e non perchè voglio trasmettere alte scariche di me e lasciarlo inerme sotto i colpi epilettici della schizofrenia di un circuito...ma perchè ho la certezza traballante(e per questo quantomai salda ed inamovibile) che lui saprebbe gestirli...non prendendo la scossa...magari solo guardandoli, collegandone alcuni, isolandone altri. 

Si è sempre così timorosi di essere che alla fine siamo dei noi stessi parziali con quasi tutte le persone con le quali ci relazioniamo...e non è un fatto di sincerità, è dannata/benedetta paura...e non degli altri, ma paura di noi.
Ci spaventiamo, evitiamo di specchiarci negli altri perchè sappiamo che gli altri ci rifletterebbero per quello che siamo davvero
Ecco...io non riesco a renderlo meglio, non ce la faccio credo. Questo "esempio" intangibile è il massimo per me, il mio limite

Quando parlo con lui, me ne frego di apparire spettinata, di avere il sorriso storto, gli stivali che necessitano una bella pulita e la maglia del tutto sgualcita...perchè ho come la sensazione che non sia importante...e, cavolo, è una sensazione che scambierei con poche altre.

L'ho fatto... l'ho fatto dinuovo. Glie l'ho chiesto ancora.
E stavolta è stato un .