lunedì 8 luglio 2013

A proposito di whisky. Di passato. Di rimpianti.



Sono seduta in ufficio. La luce dei neon è tiepida contro i vetri chiusi. 
Ho preso un whisky con me stessa. 
Me stessa di sedici anni. 
Guardo quella che ero: come si guarda una fotografia, un amico che non si vede da molto tempo. La me di sedici anni ha gli occhi struccati segnati di rosso. 
Forse tristezza. Forse solo congiuntivite.
- Posso fare qualcosa per te?
Ecco, te l'ho chiesto, piccolina.
- Posso fare qualcosa per te?
- No. 
No?
- Sembri triste. - dico.
Occhi nei tuoi occhi di giovane criminale.
Vedo rabbia. 
Vedo incomprensione. 
Odi te stessa, gli altri, il tuo corpo. Odi accettarti. Odi parlare.
Odi anche me: perchè sono troppo grande, perchè ti capisco e ti voglio aiutare. 
Mi odi perchè odi essere aiutata e odi il fatto che potrei farlo, mentre tu ti senti così inerme.
- Io non ho nessun problema.
Nessun problema. Noto le cicatrici.
Inarchi un sopracciglio: aspetti che io ti saluti. Conosco quello sguardo. E' il mio.
- Posso aiutarti.- Sorridi, senza allegria - Nemmeno io posso.
- Io so già cos'hai.
- No. Non lo sai. Non lo sai più. 
Quest'istante, per me è già passato. Credevo di ricordare tutto. In realtà ho solo generalizzato. Che giorno è oggi? Cosa ti fa star male oggi? E c'è davvero qualcosa che, ricordo, a sedici anni mi ha fatto star male?
Scavare nel passato e rimpiangere: volevo far questo. E adesso?
- Ma se solo potessi..
- E cosa cambierebbe?Niente, tesoro. Proprio niente.
- Posso toccarti i capelli?
Hai dei capelli stupendi, lo sai? 
Sorridi. Hai gli occhi persi e mi odi.

venerdì 5 luglio 2013

Maybe in another life.


Quel pensiero le batteva le tempie inesorabilmente, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Riusciva a tenerla sveglia anche la notte, come un tarlo -benchè fossero già molto poche le ore di sonno che poteva permettersi-.
L'appartamento, sullo Skyplex, non era cambiato di una virgola in quegli ultimi anni. Sembrava essersene accorta solo in quell'istante. Le mura gelide erano sempre lì. Impossibilitata a vedere il grigio nelle cose, a vedere solo il bianco e il nero, eppure immersa in quel grigiore fino al collo.
Ultimamente si era chiesta se era davvero felice.
Se quel che aveva sempre fatto fino ad ora, le rendesse realmente la vita più semplice. E con rammarico s'era accorta che, per quanto si ostinasse a sbatterci la testa, non era riuscita ad ottenere niente di quel che voleva.
Era infelice.
Serena, ma infelice.
Ricca, ma infelice.
Con una vita piena, ma infelice.
E lo sarebbe sempre stata se qualcosa non fosse cambiato. Se non avesse deciso di prendere in mano la sua vita. Di afferrarla, come afferrava le sue pistole. Saldamente e senza alcun timore.

Metteva mano al cortex-pad.
Non sapeva esattamente nemmeno lei cosa scrivere, ma sapeva benissimo a chi doveva scrivere.
Così, si prese di coraggio.
Una lettera dopo l'altra.
Una vocale dopo l'altra, un disegno chiaro iniziava a prendere forma.

***

Ciao. 
Probabilmente ti starai chiedendo perchè ti ho scritto dopo averti trattato in quel modo, l'altro giorno... e francamente me lo chiedo anch'io. Mi sento stupida. E sono ancor più stupida adesso, ammettendolo. 
Ad ogni modo... forse anch'io sento dentro di me di dover... "chiudere un cerchio". 
Di mettere la parola "Fine" a tutto questo. 
Di non lasciare niente in sospeso perchè di cose in sospeso ne abbiamo lasciate forse troppe e forse è per questo che non la finiremo mai di rincorrerci, finchè avremo qualcosa da rinfacciarci o da ringraziarci a vicenda.
Avrei voluto dirti tante cose... e invece ti ho solo fatto una domanda a cui hai risposto col tuo solito modo un po' criptico e distante, sperando che ti comprendessi. 
Ti ho compreso, anche se non volevo darlo a vedere, per orgoglio. 
Anche se è più facile starti alla larga perchè non farlo riesce ancora a farmi soffrire.
Avrei voluto dirti che ti odio... profondamente. Riesci sempre a mettermi qualche dubbio in testa. Riesci sempre a ferirmi. Forse sei davvero l'unico in grado ancora di farlo.
Avrei voluto dirti che ti auguro ogni male. 
Che un po' sono contenta se le cose ti vanno per il verso sbagliato. 
Che sono egoista e non riesco a vedere la tua felicità come una cosa giusta.
Nessuno, nessuno... nessuno come noi si merita d'essere felice.
Nessuno come te si merita la serenità. 
E forse non la vuoi nemmeno tu.
Avrei voluto dirti che per te avrei probabilmente rinunciato ad ogni cosa. 
Avrei voluto dirti che per te sarei riuscita ad essere diversa, a cambiare vita, a darmi una calmata, chissà... forse sarei riuscita anche ad amare in modo "normale". Il modo che volevi. Quello in cui amano tutti, anche se non lo so fare. 
Avrei imparato.
Avrei voluto dirti che hai rovinato tutto. 
Avrei voluto dirti che se sei infelice, è perchè non hai voluto essere felice. 
Avrei voluto dirti che ti sei sbagliato ed io... IO sono quella giusta... anche se tu sei quello sbagliato.
Avrei voluto dirti che, nonostante questo, non posso dimenticare tutto il fango che mi hai gettato addosso.
Avrei voluto dirti che non posso... non riesco a perdonarti.
Avrei voluto dirti che probabilmente ti meritavi davvero che ti sparassi, come volevi, in quell'ufficio, per chiudere finalmente il Cerchio e tornare a vivere le nostre vite come due perfetti estranei e avrei voluto dirti... che forse è proprio per questo che non l'ho fatto. 

E.

Avrei voluto dirti.
Avrei voluto tante cose...
Forse in un'altra vita.

***

Firmava quel messaggio con esitazione.
Si prendeva in tempo di rileggere quanto scritto.
Sorrideva, tra se e se, premendo il tasto di cancellazione.


lunedì 24 giugno 2013

Live.Lie.Love.&Fuck, as well.


-Toccami- gli aveva afferrato la mano tra le proprie e lo aveva costretto  a posarla sul suo seno.
-Smettila. Non ho voglia di giocare.- oppose resistenza, con una scintilla di rabbia che faticava a trattenere nelle viscere. La guardava di sbieco, come la temesse. Come temesse quella parte di lei che gli era estranea, del tutto nuova, inaspettata. Una maschera –tra le tante che lei si ostinava ad indossare- inedita, che non sapeva gestire. L’imbarazzo l’aveva cucito addosso sul rossore delle guance, ma lui lo sapeva: lei non si sarebbe accontentata di un “no”.
Insinuò le dita affusolate tra le sue gambe. Era eccitato.
-Andiamo, lo vuoi, Emile…-
-Non è questo il punto.
-E allora qual è? Non ne vedo altri.- il serpente tentatore tirava fuori la lingua biforcuta. Gli scivolava addosso come sul velluto. Poteva sentirlo fremere, per un istante. Il suo corpo teso, tremava. Serrò le gambe strette nell’ inutile tentativo di nascondere l’erezione sotto la stoffa spessa dei pantaloni, incurante che nel farlo avrebbe costretto la mano di lei in quella stessa morsa. Respirava il suo odore sulla pelle. Le loro labbra, mai state così vicine.
-Ho sopportato, Electra. Ho sopportato abbastanza… per anni che mi sembrano secoli. Ma questo no, non posso sopportarlo.
Lei rideva, di gusto, nonostante quella delusione riuscisse a leggerla negli occhi altrui e le pungesse la carne come un ago impertinente ed incurante sulla pelle che invano oppone resistenza.
-Credi che sia cieco? Credi che non lo veda il costante via vai di uomini… e di donne… -un’inflessione sarcastica spezzava il tono roco e indurito della voce- .. Ti diverti così, adesso?
-E’ solo un gioco, Emile.
-Un gioco, certo. Ma Io non sono solo un gioco. Non puoi trattarmi come tutti gli altri.
Ma lei non riusciva a capire cosa lo turbasse tanto, o forse, non le importava.
Negli anni, aveva imparato ad erigere una barriera attorno a se che negli ultimi mesi era riuscita a schermarle anche il cuore.
Voleva calore, ma non era disposta a perderne una briciola del proprio, e quel calore lo avrebbe rubato a qualsiasi corpo le fosse sembrato abbastanza pronto a giocare col fuoco.
-Ho fatto ancora quel sogno, bruciavamo insieme- le parole di Ezra, vecchie di qualche giorno, le rimbombavano ancora come un’eco distante e prepotente tra le tempie.
Un respiro, profondo. Un attimo dopo era su di lui, premurandosi di sbottonare distrattamente la camicia.
-Non ho bisogno di proteggere il mio corpo, Emile. E’ il mio cuore, quello che voglio tenere sotto chiave.
Era l’unica risposta che sarebbe stata in grado di donargli e lui, sapeva anche che era il suo strano modo di chiedergli scusa, per quel che di lì a poco sarebbe successo. Poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata dentro al petto. Il respiro affannato le impattava sulla guancia, caldo come voleva lei.
Gli slacciava i pantaloni, alla cieca.
-Electra… ti prego. –la stava supplicando di non farlo, di non varcare quella soglia, quella soglia da cui non sarebbero più potuti tornare indietro se non cambiati.
Lui non glie l’avrebbe mai perdonato e lei non lo avrebbe mai perdonato a se stessa.
-Sssh- con un dito sulle labbra lo invitava al silenzio.
-Mi ami?- e lei se ne stava zitta, guardandolo soltanto, impassibile e distante, rifiutando di pronunciare quel “no” che lo avrebbe distrutto, o quel “sì” che li avrebbe distrutti entrambi.

Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo.

Aveva deciso di consumare in fretta quella candela e di spegnere subito la fiamma. Era stanca.
Lui non aveva il coraggio di guardarla, e lei non ne aveva alcuna voglia.
-Ci vediamo domani.- ora era il turno di lui di indugiare nel più totale silenzio.
Silenzio che lei si sarebbe lasciata scivolare alle spalle con indifferenza.

Ognuno di quei volti le passava attraverso, come una lama di vetro nel Vento, ferendola, senza mai toccarla.
Blaze-la passione-,
Aileen-il capriccio-,
Ezra-la disperazione-,
Nancy- l’errore-,
Huck-una scommessa persa-.

Ora, insieme a loro, c’era anche quello di Emile –l’amore non corrisposto-.

Sorrideva, nel buio.
Avanti il prossimo.

sabato 8 giugno 2013

Noi bambine non abbiamo scelta.

Ci sono dei momenti nella nostra vita in cui ci troviamo ad un bivio. 

Impauriti, confusi, senza una meta. 
Le scelte che facciamo in questi momenti possono segnare il resto della nostra vita. 
É certo che quando si è di fronte all'ignoto, la maggior parte di noi preferisce far retromarcia e tornare indietro. Ma occasionalmente, le persone ti fanno pressione per qualcosa di meglio. Qualcosa aldilà del dolore di dover continuare da soli. 
E aldilà del valore e del coraggio che ci porta a far entrare qualcuno. 
O di dare un’altra possibilità a qualcuno. 
Qualcosa aldilà della calma persistenza di un Sogno.

Perché è solo quando ti metti alla prova…che scopri chi sei veramente. 
Ed è solo quando ti metti alla prova che scopri chi puoi essere. 

La persona che vuoi essere, esiste. 
Da qualche parte sull'altro lato del duro lavoro, della fede, credenza…ed oltre l’angoscia e la paura di quello che ci aspetta più avanti.

Ho appena finito di scopare con l'Angelo. Lui dorme, io mi crogiolo tra le coperte.
A dire il vero non so se stessimo scopando o divorandoci a vicenda.
Non so se questo può chiamarsi amore e non voglio chiedermelo, ma so che c'è, e che forse è una delle cose che ho sentito addosso più vicine all'amore, che io abbia mai provato.
No, non lo amo. No. E' chiaro. Ma finalmente amo me stessa e posso essere libera di amare, di amare veramente, qualora trovassi qualcuno degno della stessa considerazione che ho di me.
Ne seguo il profilo regolare. Il naso appuntito, le labbra rosse affollate di barba bionda.
Appare quasi sereno mentre riposa coi miei graffi sulla faccia e la mia cicatrice, il mio personalissimo marchio sulla pelle.
Stranamente, non è a lui che sto pensando.
Ripenso ad un incontro. Sam Hale. Moloko Cortes.

Penso alle scelte che mi hanno portata qui. Su questo letto.Tra queste mura in acciaio.
Penso ai percorsi intricati dell'esistenza umana. Penso alle strade a cui ho rinunciato, che avrei potuto intraprendere e che non ho preso, per scelta mia o per scelta di qualcun'altro.

E se...
Indosso il Browncoat di mio padre. Le sue iniziali incise all'interno del colletto, in eleganti caratteri corsivi "P.W.". Patrick Williams. The Red Plague. Gloriosa morte. Caporale tra le file dell'esercito Indipendentista alla difesa di Boros. Boros, 15-Novembre-2455/ Boros, 21-Dicembre-2479. Una vita relativamente lunga, la sua. Una vita nel sangue.
Porto con fierezza le sue iniziali addosso. Il Browncoat è un po' lasco sulle mie forme smagrite, ma lascio che Johanne ne accorci gli orli. Sorrido. Mi sorridono gli occhi. Johanne è viva e mi prende le misure. Il suo ago è preciso come quello di un chirurgo ed è una splendida donna, bionda, due occhi blu da ammaliare il cuore di qualsiasi uomo. Emile non è stato così fortunato. Morto prendendosi una pallottola al posto mio, durante l'ennesimo attacco terroristico nel Core, New London. Giornata dell'Unificazione, due anni fa. E' per lui che sudo e lecco le mie ferite adesso. E' per lui che sto lottando, con questo cappotto sulle spalle. Il mio fucile ha strappato vite come l'ago di Johanne che si accanisce sulle cuciture degli orli malfermi, usurati dal tempo. Sono morti per una buona Causa, mi dico. Sono morti per l'Indipendenza, mi dico. Morti necessari, mi dico. Una serie di cicatrici mi deturpano le braccia. I miei occhi non hanno più alcuna luce. Io sono Guerra, per la Guerra, con la Guerra. E non avrò mai pace fin quando l'ultimo fottuto di culo blu non avrà pianto e strisciato come un verme invocando la resa, restituendoci la nostra terra, restituendoci... no. La vita di mio padre, la vita di Emile. Quella non avrebbero potuto restituircela, ma avrebbero potuto pagare. Ho un'ideale. Ho fede nel mio ideale e lo perseguirò fino in fondo. Sono forte, ma sono sola. Terribilmente sola con le mie angosce e le mie paure. Mi tremano le mani. Johanne mi stringe il browncoat attorno alla vita e accorcia le maniche.
-Sei bellissima.- me lo sussurra all'orecchio con orgoglio. Con l'orgoglio di una madre che dentro muore un po' alla volta. Perchè sa. Sa che questa potrebbe essere l'ultima battaglia.
-No. Tu sei bellissima, Joh. Io sono solo Odio. E l'Odio non è bello in nessuna delle sue forme.-


E se...
-Caporale Williams, in posizione d'artiglieria. Fuoco a massima potenza. Li voglio vedere esplodere quei Terroristi di merda. Terroristi di merda. Assassini.
-Agli ordini, Ammiraglio Wolfe. Sono in posizione.
-Fuoco.
-Lockaggio effettuato.Fuoco.
La mia divisa blu ha le scintille. Non sono niente senza questa divisa, ma con la divisa sono qualcosa, sono qualcuno. Combatto per qualcosa, combatto per qualcuno. Mi hanno strappato via la casa, mi hanno portato via mio padre, i miei amici, tutto. Sono morti perchè non credevano in un ideale di purezza. Sono morti per la loro infame testardaggine. Sono morti perchè rifiutavano l'avanguardia, l'Unificazione che ci avrebbe resi uomini liberi, uomini migliori, uomini liberi dalla criminalità che ci opprimeva e ci opprime ancora. Boros. Un Pianeta nel fango. Un Pianeta morto sotto la legge del più forte.
Ora IO sono il più forte.L'esplosione del Brigade Indipendentista è un faro nella notte. Un fuoco d'artificio nello Spazio. Illumina tutto. I miei occhi bruciano. Ardo come quelle macerie.
-Il nemico è stato eliminato, Ammiraglio Wolfe. Un altro successo per la nostra Causa.
-Ottimo lavoro, Caporale. Ottimo lavoro.
Nell'armadio ho conservato il Browncoat di mio padre. E' ancora vecchio come lui me l'ha lasciato. Impolverato come lui me l'ha lasciato. Sorrido. I miei occhi sorridono. La mia divisa blu è appesa accanto a quel Browncoat, per ricordarmi sempre cosa ero e cosa sono diventata. Per ricordarmi sempre quale sangue filtra nelle mie vene. Per ricordarmi sempre cosa potevo essere e cosa ho scelto di non essere.
Eppure... eppure... Johanne mi guarda con occhi tristi da quella foto appesa alla parete. Johanne mi guarda e ne sento il peso addosso come un macigno. Quegli occhi blu che bruciano. Quegli occhi blu distrutti dallo stesso blu che porto addosso. Il cielo e il Mare. Il dolore. Piango nel buio. Il ricordo di lei mi distrugge. Sono sola, adesso.
Nessuno mi sussurra più all'orecchio che sono bellissima.
Sono solo Odio... e l'Odio non è bello in nessuna delle sue forme.


Senza accorgermene, sto già dormendo.
Accanto a me, dorme anche l'Angelo, tra queste mura grige.
Riposa bene, Electra Williams. Riposa bene.
Domani è un altro giorno di lavoro come tanti. 
Non hai nemici da distruggere, a parte te stessa.




domenica 2 giugno 2013

Face to Face


Eppure, apprendere la gentilezza, dopo tanta poca gentilezza,
capire come una donna con più coraggio di quanto creda, trovi le sue preghiere esaudite,
non può chiamarsi felicità?


Era raro che riuscisse a provare un sentimento d'empatia così radicato verso qualcun'altro che non fosse se stessa e i suoi fantasmi, quelli che aveva imparato a portarsi sulle spalle, quelli che aveva imparato a chiudere nell'abisso della dimenticanza, nelle sue viscere, lontano dallo sguardo troppo invadente di un'amica, lontano dallo sguardo troppo preoccupato di un padre in cerca di soluzioni.
Ora poteva vederli, gli occhi blu di quella donna, e trovarli differenti dai propri solo per quella sfumatura netta di colore.
Le aveva sparato addosso senza pietà, ed ora la guardava inerme, rabbonita da un cocktail di farmaci che avrebbe potuto stendere anche un cavallo, mansueta e quasi serena nelle coperte di cotone che la cullavano.
La serenità, quella l'aveva cercata tante volte, nelle braccia degli uomini sbagliati o tra le fredde mura in metallo della Stazione. Si ritrovava spesso e volentieri su quella terrazza a ripensare al passato, ad un passato che le sembrava tanto assurdo da non sentirlo suo, probabilmente non l'ha mai creduto veramente suo, ed è per questo che le era scivolato lentamente dalle dita insieme a tutto il resto.

Aveva ripreso lentamente coscienza e il primo pensiero era stato quello di coprirsi il volto con le mani.
Hannah Starker aveva la pelle del viso completamente deformata dalle ustioni, lucida e tirata talmente tanto che la bocca le si è piegata per sempre in un ghigno storto vagamente macabro. 
La osservo dall'alto, incurante della soggezione che so di provocarle, guardandola in quel modo tanto diretto da risultare invadente. Sfacciato.
Non provo disgusto per lei o per le cicatrici che si porta addosso. Provo disgusto per quel che ha fatto, ma c'è qualcosa, dentro di me, che mi impedisce di biasimarla davvero.

-Non coprirti, Hannah. Non devi, difronte a me.- provai a rassicurarla, con garbato distacco.
-...non posso, io... non posso...- biascicava una risposta campata in aria e cercava il cotone delle coperte, scivolando su un fianco per darmi le spalle, ficcando la testa sotto il cotone caldo come fanno gli struzzi nella sabbia.
-Hai ucciso delle donne, Hannah. Hai avuto il coraggio di farlo.. sapendo a cosa saresti andata incontro.. e non hai il coraggio di sostenere il mio sguardo. Forse ti ho sopravvalutata.

Ma non riuscivo a fingere distacco. Non abbastanza.
Quel viso deformato è l'emblema di quel che siamo, tutti. 
Si diventa Mostri, lentamente.
Lo Skyplex ti succhia l'anima. Ti cambia, profondamente. Divora dall'interno, fin quando quell'ultimo briciolo d'umanità non è stato sostituito. 
Più profitto. Più guadagno. Più lavoro. Più.. più..più. 
E così si finisce col credere che l'essere "più" possa renderci più forti, in grado di sopportare ogni sacrificio, in grado di incassare ogni batosta, in grado persino di ignorare ogni dolore. 
Come supereroi che combattono per una causa sbagliata, noi non abbiamo tempo, non abbiamo spazio, non abbiamo limite. 
Noi siamo Infinito, ma siamo Niente.Macchine piene di nulla.

-Meritava di morire.. chi ti ha fatto questo. Non quelle donne. - e mi sembra di rivedere la me di qualche tempo fa. Molly ed Anya. Neville. Gli spari. Il buio. La solitudine dell'Odio.
Non parlava. Evitava di rispondermi, o forse quella brutta cicatrice le aveva tolto la possibilità di articolarsi in modo chiaro. Decido di colmare il vuoto ponendo domande di cui conosco già la risposta.

-Cosa si prova, Hannah? 
Provi rabbia, odio. Soffri, ma sai che sei sola, sai che a nessuno importa e che puoi contare solo su di te e sulle tue gambe per continuare a camminare. Sai che non avrai più una vita normale, un amore normale, un giorno normale, e non sai più chi sei, ma solo cosa vuoi. E quello che vuoi è trascinare gli altri nello stesso baratro in cui sei stata costretta tu, convinta che quel vuoto incolmabile un giorno, potrà tornare ad essere riempito.
Sei sola, Hannah. Nessuno sa cosa provi. Io stessa non potrei mai immaginarmi... così.
Eppure tutti abbiamo perso qualcosa, che fosse un pezzo d'anima o un pezzo di cuore, o la fiducia negli essere umani o la Speranza. Ogni uomo semina alle sue spalle qualcosa che non tornerà mai indietro a riprendersi, scippato o meno dalle mani di qualcun'altro. Ed ogni cosa perde d'importanza. 
Che sia giusto o sbagliato non importa, perchè per chi ha sofferto, Giusto e Sbagliato, Bene e Male, sono solo parole.
Due gemelli muoiono nel Core, e si chiama subito alla strage. 
Dieci padri muoiono nel Rim, lasciando altri due gemelli a crescer soli in strada, e tutti gridano estasiati invocando l'Unificazione. Che buffa ipocrisia che è la vita..
Ha forse una vita più valore dell'altra, Hannah? Io non lo credo. Ma ci sono vite che hanno valore per me, ed altre che non ne hanno. 
Questo, forse, mi rende meno Mostro di te? -
sorridevo, con una punta d'amarezza.

-Siamo tutti Mostri, Hannah, impegnati in una danza fatta di maschere e scheletri nell'armadio.
E quando non hai più voglia di danzare, che decidi di farla finita. E so che questo non è il tuo caso. No. Tu ami la vita. La ami proprio perchè eri ad un passo dal perderla. La ami proprio perchè sai che forse parte di essa l'hai perduta quando hai perso la bellezza.
E allora vivi, Hanna. Non averne paura. Nessuno danza troppo a lungo da solo senza rischiare di prendersi del matto o di diventarlo. Danza con me. O danza con chi vuoi, ma non-farlo-da-sola. Te ne pentiresti.

C'è più gentilezza in questo Verse di quanto il tuo cuore possa ancora credere e sostenere.




sabato 18 maggio 2013

Just a prayer.





Ho perdonato gli errori quasi imperdonabili,
ho provato a sostituire persone insostituibili
e dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso,
sono stata delusa dalle persone che non pensavo lo potessero fare,
ma anch’io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo;
mi sono fatta amici per l’eternità.
Ho riso quando non era necessario,
ho amato e sono stata riamata,
ma sono stata anche respinta.
Sono stata amata e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante gioie, tante.
Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità,
ma mi sono bruciata il cuore tante volte.
Ho telefonato solo per ascoltare una voce.
Io sono di nuovo innamorata di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia.
Ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale
(che ho finito per perdere)
Ma sono sopravvissuta.

E vivo ancora.
E la vita, non mi stanca.
Vivo. E’ veramente buono battersi con persuasione,
abbracciare la vita e vivere con passione,
perdere con classe e vincere osando,
perché il mondo appartiene a chi osa.


Mi criticheranno sempre,
parleranno male di me
e sarà difficile incontrare qualcuno
al quale possa andare bene così come sono.

Quindi: vivo come mi dice il cuore.
Una vita è un’opera di teatro senza prove generali.



Amen.

domenica 5 maggio 2013

Till Death





Ascoltatemi voi che vivete nei sensi,
e ascoltate solo i sensi:
L'Immortalità non è un dono,
l'Immortalità è una conquista.
E solo coloro che combattono allo stremo, la possederanno.



Sono arrivata così tante volte tanto vicina alla Morte, da non riuscire più a sentire niente.
Sono arrivata così tante volte tanto vicino alla Morte, da non poterne più fare a meno.
Sono arrivata così tante volte vicino alla Morte, che quasi non mi riesce più di vivere. Di amare.

Morte. Pirati. Lo Spazio sa essere crudele e spietato quanto e più di un assassino. Mi trovo a scrivere lettere esagitate all'interno di un Pod di salvataggio difettoso, ad un passo dall'Oblio, ad un passo dall'inevitabile, sicura che niente e nessuno avrebbe potuto più salvarmi. 
Ho lasciato che i miei mi abbandonassero.
-Perchè Signore...? Perchè a me...? Tua serva fedele. Tua Templare devota.
Stringo le braccia attorno al corpo esanime di Emile, aggrappata a quel mucchio di carne come se da quello dipendesse la mia stessa vita. Come se da quello dipendesse ogni mio respiro, che con lui, sarei morta anch'io, sarebbe morta con me ogni briciola di speranza, sarebbe morta con me ogni briciola di volontà.
Lo stringo e ripenso a quando si giocava insieme alle cave d'argilla. A quando, sozzi di fango, attendevamo Johanne e Stevens per le solite scorribande a BlackLake. Ripenso a quella volta in cui si tolse la giacca per coprirmi le spalle, quella notte che eravamo rimasti da soli in cima alla tettoia della casa del Carlson su cui ci piaceva arrampicarci per guardare dall'alto gli ultimi rancheri che si sgolavano per riportare in stalla le loro vacche. Ripenso a quando avevamo cercato di sconfiggere la paura rubando al Casinò di Dokinai, facendoci irrimediabilmente beccare, e lui si offrì di prendersi pure le mie frustate al posto mio.
Per queste cose lo si ama. Un po' vergognandosi d'esser stati tanto cattivi con lui.
Per queste cose non ho avuto nessuna esitazione nel trascinarmelo appresso, pur sapendo che per me sarebbe significato abbandonare questo Verse infame.
E invece, la salvezza, inaspettata ancora una volta. Una salvezza che si chiama ironicamente All Saints
Una salvezza che ha nome volto: Eivor Edwards ed Aileen Ward.
Eppure, non sono mai stata abbastanza riconoscente. L'ennesimo attacco pirata. Non ho più voglia di lottare.

Morte. Raan, St. Andrew. Un salto nel fuoco. L'ennesima metafora della mia esistenza sta lì difronte a me: un muro alto due metri di puro fuoco che fiammeggia sotto i miei occhi stanchi, arrabbiati, colmi d'odio. Silver è rimasta accanto a me. Pende come una disperata attaccata ad una specie di passerella sospesa su un baratro. E si aggrappa con le unghie e con i denti, e lotta, come una guerriera. Lotta, e io salto. Un salto. Il vuoto. La libertà. Socchiudo gli occhi. Mi mancano i capelli. I miei bei capelli rossi. 
Vorrei piangere ma non riesco a trovare la forza e invece ce l'ho per abbattere senza pietà i tre giganti che mi vengono incontro. Mi batto senza sosta, sfoderando i pugni, denti stretti, fiato corto. Un cazzotto dopo l'altro. Cadono come foglie morte al vento d'autunno.
-CHI-OSA-SFIDARMI-ADESSO?!
Chi osa sfidare l'Immortale? Chi osa sfidare Electra Williams? Electra Williams, che sfida se stessa, la Morte, per l'ennesima, fottuta, volta.
Donna Drago, mi hanno chiamato. Donna Drago.

Morte. Un recupero disperato. Cecchino senza pietà avvolta dalle ombre e dalla neve. La canna del mio M-9 non perdona, letale. Una testa salta via come palloncini di carne una dietro l'altra. Uno, due, tre morti cadono. Quattro, cinque, sei, vite rotte, spezzate dalla mia brama di vendetta. Smithson e Price a lottare insieme a me, una squadra vincente. Soldati pronti a tutto, fino allo stremo.
Orgoglio, estremo orgoglio. Sorrido. Finalmente chiudo gli occhi. Finalmente posso riposare, finalmente la pace. 
Ah, Dio... la Pace.
-Enn, Vinz... è proprio vero: noi siamo immortali.

Morte. Droga. Sono arrabbiata, sono frustrata. E sniffo Blast come non ci fosse un domani. Bianca, la vedo: purissima e candida come neve. Ne sminuzzo un po', con fare materno e maniacale. Huck mi avverte: rischio l'overdose. Lo ignoro. La mia voglia è troppa e quasi sbavo per la voglia. La voglia che mi fotte il cervello. Tiro su. Il cuore esplode, batte a mille, vedo nero. Overdose. Convulsioni. Rischio di arresto cardiaco. Battito a zero, respiro altrettanto.
-Per dimenticare... per dimenticare. E dire che no ti ho mai detto... Joe...non ti ho mai detto.

C'è Huck accanto a me, c'è Silver, c'è Nancy, c'è Vincent.Ci sono loro. Loro, i miei angeli custodi, la mia Vita, tutto. Tutto. Io che sono niente. Io che sfido l'impossibile credendo in una vita Eterna. Io che senza amore, sono niente.

Senza amore, sono niente.