martedì 25 dicembre 2012

It's a Christmas song.


There are few who deny,
At what I do I am the best,
For my talents are renowned far and wide
When it comes to surprises
In the moonlit night
I excel without ever even trying
With the slightest little effort
Of my ghost-like charms,
I have seen grown men give out a shriek
With a wave of my hand
And a well-placed moan,
I have swept the very bravest off their feet!
Yet year after year,
It’s the same routine
And I grow so weary
Of the sound of screams
And I, the pumpkin king,
Have grown so tired of the same old thing…
Oh, somewhere deep inside of these bones
An emptiness began to grow,
There’s something out there far from my home,
A longing that I’ve never known
I’m the master of fright , and a demon of light
And I’ll scare you right out of your pants.
No animal nor man can SCREAM like I can
With the fury of my recitations,
But who here would ever understand
That the Pumpkin King with the skeleton grin
Would tire of his crown, if they only understood
He’d give it all up if he only could…
Oh, there’s an empty place in my bones,
That calls out for something unknown
The fame and praise come year after year
Does nothing for these empty tears.

[Nightmare Before Christmas.
Jack's Lament.
Terra-che-fu.]

domenica 23 dicembre 2012

Default.


La prossima volta che m'innamoro, voglio un uomo un po' freddo. Qualcuno che non assecondi ogni mio inutile capriccio. Però deve essere uno che, se per esempio litigassimo, il giorno dopo si presentasse da me con una rosa e una frase d'amore…

Un uomo così.

Cerca l'immagine di se riflessa sullo specchio sbeccato del bagno umido all'interno del suo appartamento spoglio. Non le era mai interessato di riempirlo con inutili cianfrusaglie. 
Solo il necessario per sopravvivere.
Lei era così.
Si aggrappava alle cose necessarie, quelle che continuano a farti battere il cuore nel petto.
Si aggrappava a se stessa, non alle cose.
Un divano nero in simil-pelle ancora coperto dalla stessa plastica con cui lo aveva comprato. Un basso tavolino stracolmo di posaceneri che non si prendeva la briga di svuotare. Un letto, semplice, ad una piazza e mezzo perchè da soli si sta meglio, ma meglio stare comodi. Un armadio pieno di camice maschili. Alcune non le avrebbe mai indossate. Un tavolo da pranzo mai usato. Una cucina altrettanto intonsa.

Cercava i suoi occhi stanchi. Il vuoto che s'era lasciata attorno aveva reso quelle occhiaie ancora più profonde e lasciato il segno nelle iridi non più luminose. Erano vacui e vitrei, e ci cercava dentro ancora i cocci di quei 21 grammi che aveva perduto.

Ciao. Sono Electra Williams. Non so dove sono nata. Non ho mai visto il volto di mia madre e quello di mio padre l’ho dimenticato. A quattro anni mi sono trasferita a Boros. 
Lavoro giorno e notte, e continuo a coltivare sogni che puntualmente si infrangono.
  
 Aveva sei anni. Se ne stava in equilibrio sulla punta dei piedi nudi, vestita di morbido cotone bianco.
Il papà se ne stava in piedi, di spalle. Imbracciava un fucile e parlava con l'uomo dai baffi rossi, incurante che la mocciosa frignasse spiando al dilà della finestra. Lo ammirava. Se avesse potuto scavalcare quel davanzale gli sarebbe saltato al collo urlando di contentezza a pieni polmoni.
-Papà!- esalò un lamento tra le labbra, mentre -sentendosi abbandonata-, si aggrappava con le piccole braccia al davanzale della finestra della casa in legno al piano terra, cercando disperatamente di saltare dall'altra parte. Il papà si voltò a cercare la fonte di tale disturbo. 
I suoi occhi erano gelidi, rabbiosi e infastiditi. Non le avrebbe mai perdonato d'averle portato via l'unica donna che aveva mai amato, sopravvivendo come un lurido parassita al posto suo.
La bambina non ha mai dimenticato quello sguardo.
-Ti voglio bene!- protestò lei, tra le lacrime immotivate che non aveva ancora imparato a trattenere.
-Ti ho detto di aspettare in casa! Il papà ha da fare. Lo capisci, questo?- per quanto non riuscisse a ricordarne le rughe d'espressione sul volto non più giovane, la voce ruvida le risuonava ancora nelle tempie di tanto in tanto, nei momenti di più profonda solitudine.
L'abbandono, l'aveva imparato in fretta.


Sono passati dieci anni da quel giorno. Cinque giorni dai suoi sedici anni.
Stevens le teneva la mano, stretta in una presa che l'avrebbe di li a poco infastidita. Che di li a poco avrebbe evitato. Il cunicolo in cui si erano infilati era una vecchia miniera di carbone in disuso. 
La puzza di zolfo tormentava le narici di entrambi, ma non si tirò indietro quando il biondino più grande di lei di qualche anno tentò di ficcarle la lingua in bocca, malamente. 
Era un contatto umido e strano. La pelle fremeva sotto la sua stretta irruenta e non poteva fare a meno di pensare che tutto quello non lo aveva voluto.
Pochi secondi e lo respinse di scatto, rifilandogli un ceffone che non avrebbe dimenticato dopo anni, che si sarebbe legato al dito come un marchio indelebile. Una profonda cicatrice nell'orgoglio giovane.
-Perchè devi essere sempre così? Non ti amerà mai nessuno.- Le ringhiò in faccia incattivito, massaggiando la guancia dolorante, prima di alzarsi di scatto e cercare l'uscita.
Non aveva compreso la paura negli occhi chiari di quella ragazzina. O forse non gli importava scavare a fondo nelle ragioni di quel rifiuto.
Lei rimase a guardarlo aggrottata, mentre si allontanava. Le braccia strette attorno al petto. Lo sguardo cupo.
-Non ho bisogno che qualcuno mi ami. Sarò felice comunque, senza di te. Sarò felice lo stesso anche da sola. Un giorno vedrai!- Riuscì ad urlargli dietro prima che l'ombra sparisse nella polvere della miniera abbandonata.
L'abbandono, una costante.

In quel periodo credeva di non volersi innamorare mai più. Invece, quella notte, pregando per la felicità di Stevens, iniziò a pensare che nonostante il dolore e le ferite che avrebbe potuto causarle, avrebbe voluto sognare ancora una volta e amare qualcuno… con tutto il cuore.

mercoledì 12 dicembre 2012

Destroy, to create.

La distruzione è un processo creativo.


Ci sono persone che nascono con il dramma nel sangue.
Ci sono persone che nascono vedendo morire tutto ciò che li circonda, crescendo vedendo sciogliersi legami, morendo con un mucchio di polvere tra le dita. 
Perchè non hanno mai visto altro e non hanno mai imparato a fare altro. 
E' un dono. 
Distruggere per creare da capo. 
Ancora e ancora.

Credo che ne fossi destinata fin dalla nascita, in fondo. Mia madre è morta dandomi alla luce, il mio Pianeta è stato distrutto, mio padre è stato ucciso, il mio primo amore è scomparso nel nulla.
E' così la vita, no? Un ciclo dove tutto si ripete all'infinito e nulla accade mai nelle medesime meccaniche.
Sia chiaro, non rimpiango niente. 
Si è sempre artefici del proprio destino.

-Non sto bene, Bernardo.
-Lo avevo intuito, Electra.
-Sto prendendo degli psicofarmaci, per la rabbia. Non funzionano... ho bisogno di qualcos'altro.
-Se non esiste niente di meglio, farò in modo che esista per lei, Electra.

Devo andarmene di qui, e alla svelta.
Devo scomparire.

Hall Point mi fa male.
Hall Point mi consuma. Mi consuma l'anima. 
Mi consuma l'anima.

Ne parlo con Bernardo. Lui pensa immediatamente che io voglia togliermi la vita, ma non è così.
Gli chiedo se è possibile essere sottoposti ad un intervento di plastica facciale. Gli chiedo se lui ne sarebbe capace.
Mi chiede perchè.
Non offro risposte.

Mi chiedo perchè non mi arrivano notizie da Neville, niente, non un solo messaggio.
Mi preoccupo che gli sia successo qualcosa di male. Ne parlo con Black. Lo metto alle strette.
Sembra che nemmeno lui sappia nulla.
Qualche ora dopo sono già completamente ubriaca.
Osservo il fondo della bottiglia e ci vedo riflesso solo profonda solitudine. Rabbia. Mi faccio quasi pena.
C'è ancora Black accanto a me, dopo ore. Non se nè ancora andato.
Io sono ubriaca, dannatamente ubriaca.
Lo guardo. Rido di me stessa. Mi apro, gli confesso che si, per un attimo ho pensato di portarlo a letto.
A lui l'idea non sembra dispiacere.

-Come se non ci fosse un domani, Black.

E così è successo. Ci siamo baciati. Contro ogni aspettativa.
E' così che accadono le cose, no? Un minuto prima sei al top, un attimo dopo sei cibo per vermi, crogiolandoti nelle tue debolezze, nelle tue fottutissime paure.
Avevo paura di restare sola.
Ora sono sola.
Sono maledettamente debole.

Provo rabbia, profonda rabbia.
Alla fine ha raccontato tutto a Neville, non so perchè, e non so nemmeno cosa gli abbia raccontato.
Non importa, mi dico. Non avevo poi molto da perdere.
Proprio adesso che mi ero convinta a tornare.
Avrei lasciato Hall Point per tornare alla Monkey, ma io non sono più una di loro, no.
Sono il nemico. Freddo e spietato. Sono l'incarnazione di tutto ciò che c'è di più sbagliato nella razza umana.
Sono il male, sono la follia, sono la depravazione, il Caos.
E così reggo il gioco.
Non importa quel che sei, importa solo quello che vuoi far credere di essere.
Sono maledettamente debole.

-Perchè lo hai fatto? Era un bacio. Uno stramaledettissimo, stupido, inutile bacio.
-Per me era più di un bacio.
-E cosa cazzo era secondo te, Black?
-Non lo so, so solo che riesci a sconvolgere il mio universo, Rouge. So solo che ti avrei preso, ti avrei preso seduta stante e non me ne sarebbe importato niente della mia donna, di Neville. Riesci a mettere in dubbio tutto ciò in cui credo.
-Tu mi hai tolto tutto, Black...

Piango, senza riuscire a trattenere le lacrime negli occhi. Senza riuscire a trattenere le emozioni che mi si aggrovigliano dentro il petto. Non mi sentivo così vulnerabile da secoli.
Sono maledettamente debole.

-La... amavi?
-Io non sono capace di amare.
-Lo amavo davvero, sai?
-Anche io credevo che lui ti amasse... io ti avrei ripreso con me.

Ammetto d'essere sorpresa.
Mi lascio segretamente ammaliare.
Non credo ad una sola parola di ciò che dice, ma mi lascio sorprendere comunque, forse perchè dentro di me spero davvero di non essere rimasta sola, di avere ancora un appiglio a cui aggrapparmi.
Sono maledettamente debole.

Mi mostro cattiva, odiosa, affamata di vendetta.
E invece niente, nessuna soddisfazione, nemmeno quando gli chiedo subdolamente di scegliere tra me e Neville.
Lo vedo che tituba, lo vedo che non ha alcuna intenzione di lasciarsi alle spalle una vita intera per una come me. Sorrido.
Avrei dovuto sparargli, ma non l'ho fatto.
Sono maledettamente debole.

Ogni creatura sulla terra quando muore è sola.
Ed io devo assolutamente morire adesso prima che il resto mi consumi.



Ciò che muore non può morire, ma solo rinascere ancora più forte.
 
Electra Williams deve morire.




lunedì 10 dicembre 2012

Hin Long

  I'm made ​​up of fear.


Continuo a cercare risposte. Le voci nella mia testa mi suggeriscono sempre più risposte assurde a domande che già da sè possiedono dell'irreale.
Vengeance mi guarda con quegli occhioni espressivi, come volesse parlare e raccontare ciò che ha subito ad un solo mese di età. Il suo DNA parla per lui.
Sapevo vi fosse stato impresso sopra qualcosa. Ai miei occhi tutto appariva chiaro eppure la mia mente si rifiutava di collaborare, così è alla Blue Sun, a Declan Khan che mi sono affidata.
Quella donna è determinata e spaventosa quanto se non più di me. L'ho percepito nei suoi occhi gelidi.

La combinazione dà luogo a 7 liste, ognuna di 12 nomi, di varia origine etnografica.
Il file genetico porta un nome storicamente noto: Hin Long, uno dei primi politici dell'Alleanza anglocinese.

Cosa può avere a che fare un bambino con l'Alleanza?
Cosa può avere a che fare con un politico di oltre seicento anni fa?
Sono ancora a caccia di risposte, ma la matassa non si dipana, anzi, si ingarbuglia ulteriormente.

L'esimio professor Pendleton. Plurilaureato in scienze antiche all'università di Capital City.
Le targhe perfettamente lucidate pendevano alle mie spalle come una falce. L'enorme peso dell'ignoranza.
E' un uomo inaspettatamente giovane. Mi sorride. Gli occhialetti dalla montatura sottile e dalle lenti spesse coprono due occhi neri attenti e colmi di intelligenza vivida.
Lo lascio parlare. Ammirata, catturata dalle sue parole e dalla sicurezza sfacciata e quasi impavida con cui le snocciola. Ha davanti la menager di una delle organizzazioni paramafiose più famose del 'Verse e non se ne cura, quando attribuisce ad Hin Long, collegamenti strettissimi con la giovane Triade di quel tempo.
Narcisista, cede alla lusinga di una curiosità genuina.

-Hin Long è stato un politico del primo governo anglo cinese, figlio di un generale cinese, Jin Long che guido il nuovo insediamento. Fu eletto a furor di popolo nel parlamento di Xinhion, quando l'alleanza anglocinese era in pratica ai suoi albori, si distinse per rettitudine e fu uno dei fautori dell'Alleanza anglocinese stessa. Una figura, tuttavia, a mio giudizio mal valutata dalla maggior parte degli storici, Miss Williams. A mio giudizio, in effetti, l'immagine che ne abbiamo oggi è più bianca di quello che in realtà è stata ai suoi tempi.

Appunto tutto, parola dopo parola. Non mi perdo una sillaba di ciò che l'esimio docente semina con così tanta semplicità, piantando il seme del dubbio all'interno della mia mente, ormai radicato in profondità come le radici di un albero vecchio di secoli.
Pendo dalle sue labbra. Inizio a muovere domande, ad inerpicarmi in un terreno fin troppo impervio.
Pendleton si scioglie. Si alza. Mi si avvicina cortex alla mano.
Piazza sul tavolo di legno massiccio il terminale e richiama alcuni appunti.
Un'immagine chiara mi scorre davanti agli occhi come una Sacra Reliquia.

-Guardi qui- Mi mostra un ingrandimento in sezione delle dita della mano del cinese anziano quanto l'Universo stesso.Cinque puntini a forma di stella, in blu.
-Vede, si tratta di un segno di riconoscimento della Triade, proprio nell'incavo tra pollice ed indice. 

Ammetto a me stessa d'essere stupita. Più interessata di quanto non lo fossi varcata la porta antica dell'ufficio del professore. Lo invito a parlare ancora, avida.
Ancora una volta espongo giudizi, curiosità, dubbi.
Lui parla a briglia sciolta, estasiato, con calore e trasporto.
Sembra stia facendo l'amore con le mie cervella.

-Ritengo che il primissimo governo federale fosse minato all'interno da una persona che pare avere palesi connessioni criminali: e non solo, miss, non solo...- azzarda, incurante d'avere avanti la sua potenziale assassina. -Ritengo che abbia esercitato gran parte della sua attività politica proprio al fine di favorire tali connessioni.. Fu sostenitore della necessita' di "spazi commerciali liberi e liberali": l'impianto iniziale del concetto di Skyplex, Miss. Appoggiato peraltro da vasti gruppi etnici, industriali, politici. Una materia che lei conosce bene. E non penso di doverle far notare io la fama che gli skyplex hanno anche attualmente...-

Pare imbarazzato.
Lo informo del pericolo che le sue ricerche possono significare.
Inconsciamente, lo sto minacciando.

-Pericolo?Dice?Non ho mai analizzato la questione sotto questo punto di vista. Parliamo di fatti di seicento anni fa, non di attualità-

Se solo sapesse.
Se solo sapesse.
Ha paura, si vede. D'un tratto la lingua non è più così sciolta ed io mi sento fremere dentro.
Un calore simile all'eccitazione, quando il terrore per chissà quale ripercussione, gli si stampa in faccia.
Sorrido.
Lo rassicuro, bonaria.
Le mie intenzioni erano genuine, no?

-Sto...studiando i gruppi che hanno appoggiato l'operato di Hin Long, ritengo possa esservi uno schema, che siano strutture ben precise con una radice non univoca ma chiara.- E' nervoso. Incerto.Tituba quasi nel replicare. Pendleton non pare più così estatico.
-La ringrazio per il suo tempo, professore.
-Mi scusi, Miss Williams, ma ho del lavoro da completare. Magari ci rivediamo prossimamente.

E chissà perchè, sono sicura che la possibilità lo atterrisse.

mercoledì 5 dicembre 2012

Save my soul from myself.

Mughain s'è rifugiata all'interno di un tempio Buddhista, ormai quasi quattro mesi fa. Quella pazza. 
Non si è preoccupata di ciò che si sarebbe lasciata alle spalle. 
Non si è preoccupata di me.
Egoista pensare una cosa del genere, lo so, ma non posso fare a meno di pensare a lei quando ritorno nel mio alloggio vuoto, sullo Skyplex.
Non mi curo di accendere quella fastidiosa luce fredda al neon, non mi curo di spogliarmi, di mettermi comoda, so che anche stanotte saranno poche e cattive le ore di sonno. Resto a contemplare lo specchio sbeccato nel bagno in fondo a destra, oltre una macchia indelebile di whiskey sulla moquette.
Incredibilmente, ricordo ogni particolare di quella sera.
Sorrido tra me e me.
Ricordo lei, la sua rabbia, le sue parole graffianti in gola e le fiamme che ondeggiavano imperiose nei suoi occhi chiari.
Credo di averla amata e odiata tanto da non riuscire a dimenticare nulla dei nostri continui scambi, botta e risposta, a volte botte e ben poche risposte. Il suo odore. Il modo segretamente violento con cui spegneva la cicca all'interno del posacenere dopo le nostre strane chiacchierate.
La amavo, si.
Peccato che lei non lo saprà mai.

-C'hai mai pensato al tuo funerale, Tyler?
-E perchè dovrei? Io non parteciperò di sicuro.
-Nemmeno io, se è per questo.
-Non ne dubito. Ma sarò io a seppellire te. Questo è certo.
-E pregherai?
-Non credo. Hai di sicuro un posto già prenotato all'Inferno, Williams.
-Verrai da solo?
-A meno che tu non abbia intenzione di appiopparmi quel marmocchio, si.
-Piangerai? Qualcuno piangerà?
-Ouff... non lo so, Williams. Vorresti che piangessi?
-Forse. Mi consolerebbe saperlo.


Mi sorride, in modo ingenuo e dolce. Vorrebbe essere rassicurante.
Chissà perchè proprio adesso questo senso impotente di vuoto mi preme sullo stomaco senza darmi tregua.
Chissà perchè proprio adesso il pensiero di morire sola mi faccia tanta paura.
Lo so, so che sarò sola quel giorno, che probabilmente nessuno sarà lì a piangere per me.
Me lo merito di sicuro.
Eppure... dentro di me so che nemmeno io ho il potere di cambiare questa situazione.
Dentro di me so, che sarebbe solo una liberazione per molti, per tutti forse.
Forse anche per me.

-Sai una cosa, Emile?
-Cosa?
-Ho intenzione di vivere tanto a lungo che nessuno, nessuno avrà il tempo di piangere per me.
Perchè sarò io a piangere per loro.
-Ma... tu non piangi, Williams.
-E' vero, Emile... non piango. Non piango Mai.

giovedì 22 novembre 2012

Carnival.

Ammetto che il mio non riuscire a trovare il tempo di buttare giù due righe non è casuale. Fare la Head e mandare avanti Hall Point diventa ogni giorno più complicato, e il peso della responsabilità inizia a gravare come un macigno sulle mie spalle, ma tengo duro, ancora, tengo duro perchè sono legata visceralmente a questo luogo, tanto da essermi persino venduta l'anima.

Tirando un po' le somme non posso dire di cavarmela male, anzi, nonostante le avversità sono ancora qui, salda come una roccia.
L'inaugurazione della Carnival Mistress si è conclusa per il meglio, nonostante i miei timori iniziali, e mi ha dato modo di approfondire certi lati di me che non conoscevo.
Ho avuto modo di incontrare Wolfwood, il Touzi della Shouye. Un uomo interessante, senza dubbio... mi ha affascinato. Così controllato, misurato, silenzioso. Mi intriga. C'è qualcosa in lui che mi attrae profondamente, sarà forse quel velo di mistero che si porta appresso, ma io... proprio io non posso biasimarlo. Vergil invece, lui è così vero che a volte ne ho timore, tanto diverso da me che a volte mi chiedo cosa ci leghi ancora in modo così profondo... sarà per questo che lo amo. Perchè in lui vedo quello che non potrò mai essere.
Abbiamo passeggiato insieme nel pomeriggio, con Wolfwood, mentre la nebbia copriva lo splendido profilo del giardino della Casa. Sono fortemente convinta che entrambi fossimo coscienti che l'uno mentiva all'altro, o meglio, che entrambi nascondessimo gelosamente qualcosa di noi.
Una maschera, si. Se di Carnevale si tratta, io sembro guidare le danze con il più bello e vistoso dei costumi.
Non è Electra quella che ha passeggiato affianco al Touzi, trattenendone il braccio a se in una stretta delicata e quasi impercettibile del braccio sottile. Non è Electra quella che si è spinta oltre le porte di ciò che c'è di più lontano al mondo rispetto a lei. E' la Head. E' la mente e la testa di Hall Point, la sua faccia, quella che mi ostino a voler mostrare.

Poi ci sono loro, i miei dipendenti, e anche a loro non mostro mai del tutto ciò che sono.
Bach, che mi chiedo se realmente sia adatta al ruolo che ha deciso di investire all'interno di Hall Point, a volte mi chiedo se non sia ancora troppo fragile per mantenere su di se il peso dei segreti che avvolgono la lattina rotante. A volte mi chiedo se il suo desiderio di rivalsa non l'abbia annebbiata o se sia giusto che cerchi dentro di se quella forza che fino ad ora le è mancata. Cerco di sostenerla, per quanto in mio potere, ma lo faccio in modo discreto, in modo che non se ne accorga... perchè un giorno dovrà fare da se, è sulle sue gambe che dovrà camminare. Io non sarò lì per sempre.
Sarà che prendermi cura di lei è un modo per prendermi cura di me stessa, visto che non lo so fare, ma vedo in lei qualcosa, una luce o forse un ombra, che mi fa credere che un giorno sarà in grado di trovare quella forza che dentro di se adesso crede di non avere.
Sarà in grado anche lei di indossare la maschera che la proteggerà dal mondo.

Black... lui è senza dubbio il mistero più affascinante.
Mi diverte punzecchiarlo, mi diverte essere punzecchiata, in un gioco al rimpiattino dove entrambi sappiamo di non andare a parare da nessuna parte. Anche lui indossa una maschera, anche se crede che non sia così, ma l'ho compreso quando si è aperto, in modo ingenuo e quasi dolce, mi ha mostrato i nervi scoperti della sua vita passata, forse sperando che io li sappia custodire. Forse anche lui, come io sto facendo, mi sta mettendo alla prova.

C'è di buono che il piccolo Vengeance sta bene. Nasconde qualcosa anche quel piccolo marmocchio lamentoso... ha qualcosa dentro, forse un codice o un messaggio, non lo so... ma quel frammento di DNA diceva molto di più di quanto non mi abbia detto Bach.
Intanto ho deciso, contro ogni aspettativa e contro ogni consiglio, di prendermi cura di lui.
Neville non lo sa, è convinto che io mi sia arresa alle sue parole, ma non è così.
Ho un altro motivo per lottare adesso, quel piccolo marmocchio che non si sa da dove viene, ma il cui futuro è stato scritto da me che l'ho raccolto.
Sono stata in parte sollevata di sapere che sua madre fosse già morta prima dell'impatto contro lo Spazioporto. Una vita in meno sulla mia coscienza
.

E adesso torno a indossare la mia maschera, in questo grande Carnevale che è la vita.

giovedì 15 novembre 2012

Vengeance.

-Miss Williams! I sensori hanno rilevato un'anomalia... una nave ha varcato i nostri confini senza chiedere autorizzazione. Miss Williams... si tratta di un Evolution. Lo occupano due forme di vita, pare e... dannazione! C'è un neonato! Miss Williams... cinque minuti all'impatto. Cosa dobbiamo fare?

I sensori della sala di controllo hanno un guizzo rosso lampeggiante che mi abbaglia e confonde le idee. Sudo. La linea rossa che separa l'incontrollabile dalla decisione che avrei dovuto prendere di li a poco vortica frenetica su se stessa e il tempo non lascia scampo. Troppo poco. Troppo poco tempo. Troppe responsabilità di cui rendere conto. Chi sono io per farmi carico della vita o della morte degli altri? Chi sono io per impedire che l'inevitabile accada? Eppure... l'ho fatto. Ho deciso per loro. Ho deciso per lui.


-Fate fuoco.

L'ordine è secco e repentino, non lascia margine d'errore. Non può essere frainteso. Non un'espressione mi solca il viso nel dirlo, mentre il sudore bagna copioso la fronte e i battiti del cuore aumentano dentro il petto, forse a causa dell'adrenalina messa in circolo. Mancavano centoventi secondi all'impatto. Centoventi dannati secondi concessi ad una vita, per soddisfare i miei capricci e la mia necessità di controllo.
Tutto è come deve essere.
Tutto fila bene.
Non c'è scrupolo, non c'è rimorso, non c'è ripensamento.
Non c'è peso sull'anima che ho deciso di vendere, in cambio di un pezzo di metallo freddo che fluttua nel vuoto e nel nero dello Spazio.
C'è solo Hall Point.
C'è solo la luce bluastra delle batterie Laser, l'accecante scoppio di mille piccoli pezzi che si infrangono, briciole di quel che rimane di una madre e di una Speranza, di una donna attaccata alla sua vita e a quella del suo bambino, fino alla fine. La speranza di continuare a respirare. La speranza di un futuro migliore.

Centoventi secondi. Poi il Nulla.

-Ottimo lavoro, a tutti-

In sala comando crolla il silenzio. Nessuno ha il coraggio di incontrare il mio sguardo e alcuni cessano persino di respirare. Come biasimarli? Non avrei avuto il coraggio di guardarmi allo specchio, eppure... a volte la Speranza sopravvive alla certezza.
Eppure...

-Miss Williams... un pod di salvataggio. E' stata rivelata presenza di vita al suo interno.

Trattengo il fiato a stento. Trattengo il sollievo per non mostrare che sono pentita. A dire il vero non mi sono pentita affatto: sono convinta fino alla fine che sia stata la cosa più giusta da fare, per me e per tutti loro. Per tutti coloro che sono stati affidati alle mie cure, alla mia responsabilità. Come una madre snaturata.

-Quale... vita?

Cauta. Placida. L'aria che respiro è densa e faccio fatica a mandarla giù. Come se una vita contasse più dell'altra. Come se una avesse il diritto di continuare a restare attaccata a questo 'Verse, e l'altra l'avesse perso su quell'Evolution in rotta di collo verso lo Spazioporto.

-Il neonato, miss. Il neonato.

Sgrano gli occhi. Non mostro sorpresa, nemmeno sollievo o felicità. Sento solo il peso sulla coscienza farsi sempre più leggero fino a sparire, lasciando spazio al peso della responsabilità per una vita appena sbocciata, che non mi sarei fatta remore di strappare per preservare quella di un mucchio di ferro e luci rosse al neon.

-Recuperiamolo.

Anche questo è un ordine secco, impartito senza pensare. Ancora una volta sto sbagliando e ne sono del tutto consapevole. Ancora una volta, sto scegliendo per qualcun'altro. Sto scegliendo la strada più facile, ciò che ritengo sia meglio per me, per la mia coscienza, per lavare via un po' di sporco depositato sopra, incurante se sia la scelta migliore per tutti. Sarebbe stato crudele lasciarlo in balia dello Spazio. O è semplicemente più crudele tenere in vita una creatura dopo avergli tolto tutto? Io conosco bene la risposta.
Scelte.
Scelte che mi sono presa il diritto di prendere.
Ma, adesso, nessun'altro può farlo al posto mio. Nessun'altro può decidere per me, e tocca a me decidere per loro. Per lui.

-Quando sarà abbastanza grande avrà tutto il tempo di vendicarsi. E come un marchio indelebile scritto nel destino che qualcuno ha deciso per lui -che io, ho deciso per lui-, il suo nome sarà Vengeance.

sabato 10 novembre 2012

Mai abbastanza.



Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo, io sono sempre cinque minuti fa, il mio dire è fallimentare, io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all’essere e non lo so dire. io sono senza aggettivi, io sono senza predicati, io indebolisco la sintassi, io consumo le parole, io non ho parole pregnanti, io non ho parole cangianti, io non ho parole mutevoli, io non disarticolo, non ho parole perturbanti, io non ho abbastanza parole, le parole mi si consumano, io non ho parole che svelino, io non ho parole che puliscano, io non ho parole che riposino, io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza parole, mai abbastanza parole. Ho solo parole correnti, ho solo parole di serie, ho solo parole del mercato, ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti.


-Vuoi stare fermo, Santo Dio?-
Emile ha sempre avuto il brutto vizio di dondolarsi su quella dannata sedia quando non aveva come impiegare meglio le sue forze e il suo tempo. Mi stava accanto da un paio d'ore, in silenzio, dondolandosi su quella dannata sedia ad intervalli regolari. Le braccia incrociate sotto la nuca.
Si voltò subito dopo e mi sorrise. Non rispose, ma smise di darmi noia.
-'Fanculo, stronzo... cosa diavolo ridi? Ho la faccia di una che è in vena di scherzi?
-No, hai la faccia di una che sta per sposare l'uomo sbagliato.
Aggrottai la fronte e affinai lo sguardo. Ero arrabbiata, ma non con lui. Come sempre l'unica fonte della mia rabbia risiedeva dentro di me, e io non avrei saputo fare di meglio che ferirmi, per cercare di estirparla.
-Sta' zitto.
Mormorai. Chiusi gli occhi. Cercai di dormire, ma Emile riprese a dondolare sulla dannata sedia.
-Ti diverti con poco, mh?
Domandai, spazientita.
-Non puoi dormire per sempre per evitare di pensarci.
Era vero, pensai.
Gettai uno stanco sospiro dalle labbra e tornai a guardarlo.
-Cosa vuoi che ti dica?
-Tutto quello che ti passa per la testa...
Rispose distrattamente, come se fosse un'ovvietà e poi tornò in silenzio. Aveva chiuso gli occhi anche lui e il cappellaccio da cowboy gli copriva mezza faccia.
Sospirai ancora. Avevo proprio bisogno di parlare e invero aspettavo solamente che me lo chiedesse.
Forse lui ne era pienamente consapevole.
-Tutto quello che mi passa per la testa è noioso e confusionario e finiresti col non capirci niente... diciamo che stavo riflettendo sul fatto che, per quanto ci sforziamo, non possiamo mai veramente determinare il corso degli eventi. Lo trovo spaventoso... ma ci pensi? Qualsiasi cosa tu faccia, in un soffio, tutto può crollare come un castello di carte...
Mi persi per qualche istante ad osservare un punto morto difronte a me. Non mi aspettavo una risposta. Non da Emile. E invece quella volta mi aveva stupito.
-E quindi?
Mi chiese, con naturalezza e la curiosità sincera di cui si macchiano i bambini al cospetto di un grande mistero.
-E quindi fanculo. Cosa ci affanniamo a fare? Lasciamo tutto com'è... se deve accadere qualcosa, accadrà.
Scrollai le spalle e tornai a chiudere gli occhi. Stavolta ero io che dondolavo sulla sedia.
-Non mi hai ancora detto cos'è successo, però.
Puntualizzò con un ghigno, da sotto il cappello.
Impiegai forse qualche istante di troppo prima di rispondere.
-Per colpa mia sono morte delle persone. Beh.. diciamo che non è stata nemmeno colpa mia... ma ad ogni modo, nessuno se l'è presa con me. Pensano tutti che sia stata colpa di Neville. E questo non lo sopporto. Io lo so che non è colpa sua... 
Spiegai ingenuamente, come se quello potesse afferrarne anche solo lontamente il senso.
Contro ogni altra aspettativa, annuì.
-Sei un'egocentrica del cazzo. Ti rode solo che non se la siano presa con te.
-No. Mi rode che se la siano presa con la persona sbagliata.
-Cosa ne sai tu? C'eri?
Mi zittii improvvisamente. All'improvviso un vuoto tremendo mi riempiva la pancia come un macigno della portata di quintali. Mi chiusi in posizione fetale e mi voltai a dargli le spalle.
Volevo dormire. Volevo piangere. Volevo parlare, forse urlare, forse uccidere qualcuno. Volevo sbattere i pugni forte fino a quando qualcuno non mi avesse dato ragione. Volevo lottare e volevo arrendermi. Volevo vivere. Volevo viverlo. Volevo troppe cose, come al solito.

lunedì 5 novembre 2012

21 Grammi.




La segretezza è il principio della tirannia.



21 Grammi è il peso dell'anima. L'anima è l'unità di misura di tutti i segreti. E' per questo che non riusciamo a tenercene dentro troppi, troppo spesso, 21 grammi sono troppo pochi, è uno spazio infinitesimale in cui racchiudere il grande universo che ognuno di noi si porta appresso. 21 Grammi è un peso troppo irrisorio e alcuni segreti pesano nettamente di più.
Poi ci sono segreti che sono fatti per essere leggeri, e dunque per essere svelati, ma come si fa a pesare un segreto? Questo non l'ho ancora compreso.
Si dice che più si arriva in alto e più è forte il tonfo che fai quando poi cadi dal piedistallo. Io so solo che mi porto dietro troppo peso, e che se non lo butto fuori in qualche modo potrei finire per scoppiare.

In sintesi... Blackbourne se n'è andato e ora tutto regge sulle mie spalle, proprio come avevo desiderato. E' qui che bisogna stare attenti, credo... bisogna prestare molta attenzione a ciò che si desidera, perchè quando ciò accade, si deve rinunciare necessariamente ad altro.

Io non voglio rinunciare a niente.


Non voglio rinunciare a tenere per mano Neville, a dormire con lui, a parlare con lui fino a notte fonda ed affidargli ogni grammo di quei 21.
In fondo la felicità della vita è fatta di frazioni infinitesimali: di piccole elemosine, presto dimenticate, di un bacio, di un sorriso, di uno sguardo gentile, di un complimento fatto col cuore.
La felicità sta nel gusto e non nelle cose; si è felici perché si ha ciò che ci piace, e non perché si ha ciò che gli altri trovano piacevole.


Condividiamo ottime, canoniche, idee di noi stessi e ci scambiamo complimenti confezionati...sembra tutto così "normale" che quasi suona strano.
Eppure, in qualche strano modo, ogni volta che mi trovo a far spazio agli occhi tra i capelli per ascoltare ciò che dice...e a mettere (dis)ordine nei miei pensieri per trovare i semafori verdi delle risposte alle sue domande senza punto interrogativo...la normalità, la confezione, il canone...sono distanti quanto Galassie.
Credo, e diamine è quasi un discorso serio finirò per spaventarmi, che lui sia una delle poche persone, una delle pochissime, a cui affiderei ogni mio filo scoperto...e non perchè voglio trasmettere alte scariche di me e lasciarlo inerme sotto i colpi epilettici della schizofrenia di un circuito...ma perchè ho la certezza traballante(e per questo quantomai salda ed inamovibile) che lui saprebbe gestirli...non prendendo la scossa...magari solo guardandoli, collegandone alcuni, isolandone altri. 

Si è sempre così timorosi di essere che alla fine siamo dei noi stessi parziali con quasi tutte le persone con le quali ci relazioniamo...e non è un fatto di sincerità, è dannata/benedetta paura...e non degli altri, ma paura di noi.
Ci spaventiamo, evitiamo di specchiarci negli altri perchè sappiamo che gli altri ci rifletterebbero per quello che siamo davvero
Ecco...io non riesco a renderlo meglio, non ce la faccio credo. Questo "esempio" intangibile è il massimo per me, il mio limite

Quando parlo con lui, me ne frego di apparire spettinata, di avere il sorriso storto, gli stivali che necessitano una bella pulita e la maglia del tutto sgualcita...perchè ho come la sensazione che non sia importante...e, cavolo, è una sensazione che scambierei con poche altre.

L'ho fatto... l'ho fatto dinuovo. Glie l'ho chiesto ancora.
E stavolta è stato un .