sabato 30 giugno 2012

Keep away from red heads.






"L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue."





Me lo diceva sempre mio padre. Un vecchio detto della Terra-che-fu. Credo lo scrisse un poeta. Non vi ho mai dato granchè credito ma adesso questa frase mi pulsa nel cervello come fosse il lento e costante scandire di un orologio.
Attaccare o fuggire fanno parte dello scontro. Quello che non appartiene alla lotta è restare paralizzati dalla paura.

Picchiare Neville è stato liberatorio. Ne porto ancora i segni addosso, con un sorriso. 
Penso che non le prendessi tanto da almeno una decina d'anni, togliendo Mughain, che non mi da filo da torcere a tal punto.
Svuotarsi i polmoni, urlare, farsi male. Qualcosa si è incrinato -e non solo una mia costola-.
Si è meritato il mio rispetto e, in fondo, io penso di essermi meritata il suo visto come l'ho conciato.


Sei più in gamba di tanti uomini, Williams.


Ammetto d'essermi riempita d'orgoglio quando l'ha detto. Sembrava quasi che a parlare fosse stato mio padre, il giorno che mi insegnò ad impugnare una pistola.
Sarà pure una mia impressione, ma credo che nessuno dei due fosse realmente incazzato con l'altro, è che a volte si ha solo bisogno di prendersela con qualcuno, quando si è stanchi di prendersela con se stessi.

Lo stress accumulato in questi giorni è aumentato esponenzialmente al mio ritorno su Hall Point.
Mughain è tornata finalmente. Come io sono tornata alle mie pressanti responsabilità.
Avevo un bisogno irrequieto di parlarle. 
Per dirle cosa, poi? Che la mia vita è più incasinata di quanto non lo fosse un mese fa?
La peggiore delle idee... la mia moquette è irrecuperabile.
Mughain sa ascoltare, ma trae sempre conclusioni che non ti aspetteresti mai nemmeno di aver lontanamente pensato. Mi ha chiesto se avessi sentito differenza tra le cure che mi offriva Zoya e quelle di qualcun'altro, e mentre ne parlava tutto si faceva chiaro. Un arazzo colorato in nette sfumature nere e bianche prendeva forma sotto i miei occhi increduli. 
Le ho parlato di Zoya, di quello che pensavo fosse necessario fare, di quello che credo che fosse la cosa più giusta per salvare il cuore di entrambe. Lei ha capito.
Non so come abbia fatto a leggermi nella mente. Un attimo dopo un messagio cortex mi comunicava la sua repentina decisione. Ho sentito una fitta al petto, altezza cuore, poi lentamente tutto è tornato regolare, come se il peso di un macigno mi fosse appena stato tolto dalla pancia, e fossi tornata a respirare.
Un altro taglio verticale solca la mia spalla destra. Un' altra cicatrice che porta inciso sopra il nome del mio ennesimo errore. 
Mi sono chiesta quanto costi il prezzo della nostra libertà e se siamo davvero uomini liberi, anche quando non costretti in catene. Se la vita stessa non fosse un'enorme gabbia in cui ogni cosa prima o poi inizia ad andare stretta come un maglione mal lavato. Non so come, ma il bisogno di divorare aria attorno a me, d'essere libera, cresce col passar del tempo. 
Costringermi ad amare come se potessi controllarne la natura è stato il più grosso degli errori.

Mi sono chiesta quanto sia opportuno o meno realizzare i propri sogni, accorgendomi di quanto solo l'idea mi terrorizzasse. Che la sottile linea che separa dalla felicità, ad una nuova tristezza, sta li: nel palmo teso di una mano sul punto di afferrare un pomo sanguigno, di certo succoso, e che svanisce, quando le rotondità di quella mela ne sfiorano la pelle. 
Voglio riuscire a congelare quell'attimo di sospensione e renderlo eterno, anche se so che mi costerebbe rimanere a mani vuote.

Mi sono chiesta come funziona la dinamica di certe cose. Come si finisce a fare i conti con l'incontrollabile, la follia, l'imprevedibile e la certezza di sbagliare insieme. Mi sono chiesta se davvero non ho solo tanta voglia di farmi del male. Di fuggire, solo per il gusto di andare da qualche parte. Mi sono stupita di quanto fosse diverso sentirsi desiderati da un uomo, piuttosto che da una donna e mi sono ritrovata a pensare che la prima cosa, forse, mi piace pure di più.
Sarà che il bourbon di ieri era fin troppo buono per non salire dritto alla testa, annebbiando del tutto le mie percezioni mentali. Sarà che in fondo sono un po' masochista dentro. O che stare con lui a bere e fumare sigari fino all'alba mi ha dato un sollievo che non saprei descrivere.
Sarà che sento d'essere protetta, e insieme ne ho paura. Un po' come con Mughain.

Se mi guardassi allo specchio adesso di certo non mi riconscerei, e non saprei nemmeno dire con certezza se penso d'esser meglio in questo preciso istante, con il viso di Vergil a pendere come una falce sopra il mio, o se rimpiango ciò che ero prima. Il fatto è che adesso, forse, mi diverto di più.
Sorrido troppo spesso.
La fronte sporca e la faccia che è un casino, e mi sono chiesta cosa ci abbia trovato lui di tanto desiderabile in me. Per un attimo ho avuto voglia di scavare una fossa nel sedire dell'auto di Ritter e sparire in fretta al centro del pianeta, ma... poi le sue labbra sulle mie ed il castello di problemi che mi ero creata attorno è crollato in un battito di ciglia. 
Mi sento stupida. Mi sembra di aver totalmente perso di credibilità. Mi sento d'essermi svuotata fin troppo, alleggerita fino al punto da non sentire più il mio stesso peso. Mi sento di averla tradita, come non avrei mai pensato di poter fare.
  
-Tu cosa desideri, Williams? E non intendo saltarmi addosso, eh. 
-Voglio qualcuno che sappia farsi desiderare sempre. Voglio qualcosa per cui valga la pena lottare, Neville.
Eppure sono fuggita, dall'ennesima cosa bella. 
Chissà se prima o poi quell'ombra ostinata si deciderà a smetterla di seguirmi.


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