giovedì 7 giugno 2012

The End.

Mio padre è via ormai da più di una settimana, e soffro la sua mancanza come un cane sentirebbe la mancanza del proprio padrone. Ho quattordici anni, età che permetterebbe ad un qualunque ragazzo del Core di frequentare ancora la scuola ed approfondire gli studi, e invece io passo le mie giornate a rubacchiare in giro, a farmi inseguire, a farmi picchiare, e tornare a casa con un paio di patate per la cena. E così il giorno dopo, e quello dopo ancora. 

E' un venerdì mattina, un 22 Dicembre freddo e secco come gli altri. Gli addobbi natalizi si susseguono ovunque in ogni casa di Boros, screpitando energici ed arroganti coi loro colori accecanti in ogni giardino. Ho sempre odiato il Natale, fin da bambina. Il primo regalo che ricevetti fu un piccolo coltellino svizzero, con tanto di cavatappi, dall'impugnatura in legno scuro, e ricordo che invidiai le altre bambine e le loro bambole per un istante, ma quello dopo ero già li pronta a sorridere, a fingere d'essere felice ancora una volta. Per lui.
Spingo la lettera all'interno della buca vuota e imperlata di acqua ghiacciata, rimasugli di pioggia abbandonati come ricordo, come segnale di un Inverno che si prospetta essere più freddo e lungo del consueto. Gli ho scritto una missiva e spero con tutto il cuore che arrivi a destinazione, ma sono giorni, settimane, e nessuna risposta torna indietro. 
Non ho versato una lacrima, con il timore che se lui fosse tornato indietro e avesse aperto la porta da un momento all'altro e mi avesse trovata a frignare come una bambina, me le avrebbe date di santa ragione. Ma io sono una bambina. Lui e la sua fissa per la debolezza.
Ancora una volta percorro la strada ciottolata che attraversa il vecchio campo di grano dei Carlson fino al centro città, la mia prossima tappa è il macellaio, al quale cercherò di rubare qualche scarto sfoggiando un paio di occhi dolci da cerbiatta: quelli mi sono sempre venuti su bene. Faccio la strada insieme a Stevens, che non mi molla un secondo. Dio, lo avrei riempito di botte per quel suo continuo ciarlare, chiacchierare di aria fritta e sogni idioti da ragazzo. Tutte stronzate. Da lontano riesco ad intravederla, è una Jeep di quelle nuove, di quelle che hanno solo i ricchi, dalle mie parti, e ci corre dritta incontro. Fessurizzo gli occhi e mi fermo a guardarla, ed un attimo dopo averci superato mi accorgo che quella che sta percorrendo è proprio la strada per casa mia. Corro. Ricordo di non aver corso così tanto prima d'ora. 
Alla porta c'è un uomo in browncoat, con un cappello da cowboy ed una barba incolta a rossiccia che non avevo mai visto. Incrocio le braccia e mi faccio fiera nella mia minuta statura, nonostante il fiatone.
Ha notizie di mio padre, mi dice. E lo vedo quello sguardo: lo sguardo di quello che sta per darti l'ennesima delusione e che, pur non conoscendoti affatto, prova una sorta di empatico affetto e comprensione. Lo sguardo di chi vorrebbe fare o dire qualcosa per addolcire una pillola fin troppo amara da inghiottire. Lo sguardo di chi non può capire mai del tutto a fondo, ma tenta di sforzarsi nel farlo. 
Mi mette una mano sulla spalla.
Due parole. Due, fottutissime, parole.
E' morto.
Annuisco, dopo qualche istante. Sorrido perfino, a mezza bocca, un sorriso rassicurante e troppo adulto per una ragazzina della mia età, il sorriso di chi, in fondo, se lo sarebbe aspettato e se n'è già fatto un'idea, ma non è così. L'uomo con la barba rossa sembra provare una sorta di segreto sollievo e compiacimento. Era proprio quello che volevo.
Mi ha proposto di riconoscere il corpo, ma mi sono rifiutata categoricamente di farlo, inviando Stevens al posto mio, a fare il lavoro sporco. 

Non ho versato una lacrima, eppure, ero certa che lui non avrebbe aperto la porta da un momento all'altro urlandomi addosso che sarei dovuta crescere e diventare forte. Non questa volta.


Mi ha detto che mi ama.
Lo ha fatto e io l'ho picchiata. L'avrei ammazzata. Le ho puntato una pistola contro, furibonda. Le avrei strappato la lingua a mani nude, lo avrei fatto, pur di farla tacere.
L'unica cosa che le avevo chiesto era di non farlo, di non innamorarsi di me, di non rendere le cose più complicate di quanto già non lo fossero.
Piangeva e mi si è offerta. Si è offerta alla canna della mia pistola come una martire. Pazza, o forse solo stupida. E non è forse così che ci rende l'amore? Stupidi e pazzi come dei vecchi rincoglioniti, o come dei bambini troppo cresciuti che non sanno quando il gioco è finito.
Incredibile quanto riesca ad essere tenace e violenta. Incredibile come riesca sempre e comunque a scuotermi dalla mia fermezza. E' una valanga e un fiume in piena inarrestabile quando si prova a richiuderla negli argini della pura logica. E' un elefante che mi si getta tra le braccia incurante che possa reggerne o meno il peso, incurante di crollare a terra e farsi male perchè non ha più sostegno sotto i piedi.
L'ho allonata. L'ho fatto in tutti i modi possibili. In tutti i modi più dolorosi. In tutti i modi in cui una persona normale, un'altra persona qualunque, mi avrebbe cancellata per sempre. Le ho detto che non l'avrei mai ricambiata, ho cercato di farle capire che non l'amo, che non posso amarla per il suo bene e per il mio, ma era sempre li.
Mi ricorda tanto un cane. Puoi picchiarlo, maltrattarlo, abbandonarlo sul ciglio della strada, ma quello troverà sempre la via per il ritorno. Ti troverà, ti scoverà, riconoscerà il tuo odore tra mille altri, ti verrà incontro scodinzolante e pieno di gioia, pronto a perdonarti in cambio di poche carezze ed un tozzo di pane andato a male.
L'ho ferita e mi sono ferita, ma questo mi è servito di lezione. Ho capito che non sono ancora abbastanza vicina a ciò che voglio essere, che la sola idea di poterla perdere era più grande del desiderio stesso di starle accanto. Non voglio. Non la voglio. Non voglio tornare a fissare quella porta e a sperare che qualcuno torni indietro a riprendermi. Non ci sono più fessure, nessuna porta, non uno spiraglio di luce all'interno di questo guscio, ed è questo l'unico modo che ho per non farmi del male.
Per non farle del male.

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